Le Grandi Alpinella Cartografia 1482-1885 – Vol 1
volume1
formato cm 23,5x32, pp 360 con oltre 370 immagini
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COSÌ LE CARTE GEOGRAFICHE NARRANO LA STORIA DELLE ALPI
Enrico CamanniLa storia di questo libro è iniziata nel 1970, quando tre professionisti dediti alle vacanze in Val d’Ayas, una farmacista, un medico eundirigente d’azienda, intrapresero per diletto lo studio dell’antica cartografia della valle, che li portò a pubblicare dopo quattro anni il volume Le Grandi Alpi nella cartografia dei secoli passati 1482-1865 per Priuli & Verlucca. Il libro ebbe successo, l’edizione fu esaurita in poco tempo ed entrò nella dotazione delle principali biblioteche civiche e private europee, e in quelle delle Università americane. Attualmente è reperibile solo sul mercato antiquario ed è un’opera molto richiesta.Il riscontro favorevole non ha rappresentato un punto d’arrivo per i tre ricercatori, che, sempre più affascinati dalla cartografia alpina antica, hanno continuato a raccogliere carte e documenti, lavorando nel tempo libero. Purtroppo dopo un solo anno dalla pubblicazione uno degli autori, Massimo Pomella, che era stato l’ideatore del progetto, è mancato prematuramente e i vulcanici coniugi Laura e Giorgio Aliprandi si sono ritrovati soli a coltivare la passione per le carte, nell’intento di approfondire il lavoro del 1974. Sono passati circa trent’anni e in questo tempo gli Aliprandi, abbastanza isolati rispetto agli altri settori della ricerca alpina, hanno raccolto una mole impressionante di materiale indagando, confrontando, approfondendo, e aspettando il momento giusto per dare alle stampe il lavoro di una vita. La nuova opera Le Grandi Alpi nella cartografia 1482-1885 è la fine di questa attesa, che gli autori tengono a definire «un’indagine di cartografia storica», cioè una ricostruzione attraverso le carte delle tracce delle vicende antropologiche, politiche, militari e religiose che raccontano la storia del territorio alpino occidentale.«Lo studio dei toponimi, delle frontiere e soprattutto dei colli, che rappresentano la parte più “umana” che la cartografia delle Alpi può offrirci, ha orientato la nostra ricerca ». Le carte intese come “occhio della storia”: questa è la chiave di lettura (e di studio) di questo volume - dedicato alla lenta “scoperta” delle Grandi (o Somme) Alpi, come ebbe a definirle Giulio Cesare - che avrà un seguito nel 2006 con un secondo lavoro dedicato soprattutto ai valichi, perché, come scrisse lo storico Coolidge, «se una cima è opera della natura, un passo alpino è opera dell’uomo».
Gli Aliprandi si muovono tra il 1482 e il 1885, inquadrando quattro secoli fondamentali non solo per la nascita e lo sviluppo della cartografia alpina,maanche per la moderna visione delle Alpi. Per tre secoli, si può affermare con gli autori, la descrizione delle Alpi «non costituì alcun interesse, né commerciale né culturale, e per tali motivi mancò la spinta da parte dei cartografi e dei commercianti di carte a iniziare uno studio sistematico della topografia delle Alpi».
Nell’antichità le Alpi erano una specie di buco nero, un inutile accidente del paesaggio, tutt’al più un intoppo per chi doveva spingersi oltre la catena dei monti. Le carte di solito non le rappresentavano affatto, oppure le trattavano come terre senza materia e senza storia, assecondando ancora nel Seicento la visione teologica protestante (e non solo) per cui Dio avrebbe ammucchiato sulle montagne gli scarti del diluvio. Dunque le Somme Alpi erano inutili e le carte riflettevano il concetto diffuso (concetto urbano, naturalmente), e anche quando riportavano le cime esprimevano l’approssimazione di cartografi che non avevano alcun interesse a disegnare montagne, a eccezione delle valli e dei colli di maggior transito commerciale e militare.
Di fatto, fino al Settecento, la cartografia alpina resta qualcosa di accidentale e secondario, perché i montanari, i pellegrini e i soldati che valicavano leAlpiper vie traverse non avevano bisogno di mappe, mentre tutti gli altri non avevano alcun bisogno di valicare montagne. La visione cambia nel Settecento, dopo Utrecht e la fondazione degli stati nazione. Paradossalmente, finché le Alpi non diventano linee di frontiera a discapito di se stesse e dei propri abitanti, i cartografi e le carte le trascurano, per riscoprirle prepotentemente nelmomento più negativo della loro storia. E altrettanto paradossalmente, quando le Alpi si pongono come divisione artificiosa tra gli stati («a ogni stato le acque che vi discendono »), i viaggiatori romantici cominciano a scoprirvi i segni del bello e del sublime, favorendo un urgente lavoro di mappatura e descrizione dei percorsi a scopo artistico, turistico e alpinistico.
In meno di due secoli, tra Sette e Ottocento, le Alpi passano da rifiuto del Continente a terra “conquistata”, contesa, desiderata e descritta, come una grande macchia incolore nel cuore dell’Europa industrializzata e civilizzata che d’un tratto prende forma, tinta, valore e sapore. - La Repubblica
LA VITA E I DEBITIDEL CARTOGRAFO DI NAPOLEONE
PAOLO MAURILuis-Albert-Ghislain Bacler d’Albe non ci ha lasciato nessun diario ed è un vero peccato: si limitò a raccontare con grande maestria i territori di sua competenza attraverso le carte geografiche da lui disegnate. Ma non era un geografo o cartografo qualsiasi: era il cartografo di Napoleone Bonaparte, anzi il capo del Servizio topografico dell’Armée, incaricato di preparare la carta del teatro di Guerra in Italia per la II campagna del 1800.Bacler d’Albe sarebbe rimasto legato a Napoleone fino alla disfatta finale. Il generale lo aveva invitato a seguirlo nella campagna d’Egitto, ma la moglie di Bacler d’Albe aveva pensato bene di nascondere la lettera in modo da evitare la partenza di lui per terre lontane. Dal 1804 diventò il cartografo ufficiale dell’Imperatore: alloggiava in una tenda vicina a quella imperiale e prendeva parte attiva alle sedute di strategia militare indicando col compasso gli spostamenti delle truppe e disegnando minutamente le asperità del terreno. La caduta di Bonaparte coinvolse anche lui: nella campagna di Russia aveva perso tutto il suo equipaggiamento e si era indebitato per sessantamila franchi. Finì col fare il pittore per cercare di guadagnare qualcosa e morì nel 1824. Napoleone, nel suo testamento, aveva lasciato detto che la carta d’Italia di Bacler d’Albe fosse mandata al figlio, il re di Roma.La storia di Bacler d’Albe è una delle tante che si possono leggere nel bel volume di Laura e Giorgio Aliprandi, Le Grandi Alpi nella cartografia 1482-1885 edito da Priuli & Verlucca. È la riedizione aggiornata, dopo trent’anni, di un testo (e di una raccolta di carte) ormai da tempo introvabile. Disegnare le montagne non era impresa facile per gli antichi cartografi; in genere se ne dava una rappresentazione simbolica, usando dei conetti di talpa senza curarsi, per esempio, di definire l’altezza che solo con strumenti più moderni è stato possibile stabilire senza più errori. Per molto tempo ci fu indecisione se assegnare al Bianco o al Monte Rosa la palma della vetta più alta. Ma poteva capitare (vedi la carta secentesca di Borgonio) che un monte rispettabile come il Monte Rosa non fosse neppure individuato. Nel 1500, del resto, si pensava che la montagna più alta del mondo fosse il Picco di Teneriffa a cui si attribuiva un’altezza di quaranta chilometri e ancora a fine Seicento c’era chi prendeva in considerazione montagne alte cento chilometri.
Se Napoleone aveva compreso benissimo l’importanza militare della cartografia, i potenti della terra che lo avevano preceduto sapevano altrettanto bene che la conoscenza dei propri domini e di quelli degli stati amici o eventualmente nemici era essenziale. Carlo VIII, il re di Francia che avrebbe fatto la famosa discesa in Italia, si era preoccupato di conoscere bene la strada e aveva incaricato tale Jacques Signot di descrivere le strade e i colli che avrebbe incontrato nel suo cammino. Signot fece una relazione anonima (era una spia e dunque doveva difendere la propria identità) dalla quale si ricava anche una notizia intorno ad un antichissimo tunnel, il Buco del Viso o Pertuis du Viso, che fu completato nel 1480. Era lungo ottanta metri sotto il colle delle Traversette (a nord del Monviso) e permetteva di transitare più facilmente tra Francia e Piemonte, soprattutto a scopo commerciale. Il sale della Provenza contro il riso e l’olio italiani. Ne parla Nico Orengo nel Salto dell’acciuga dove sono proprio i commerci tra Piemonte, Provenza e Liguria a tenere campo: e descrive i muli carichi di sale che entrano nel tunnel. Il primo cartografo che segnalò graficamente in una sua carta il Buco di Viso fu Jean-Baptiste Nolin nel 1690. Egli dice che il passaggio si può compiere in due ore con muli carichi. Segnalano il Pertuis altre due carte, quasi coeve, quella di Hubert Jaillot e quella di Père Placide. Secondo gli autori della Cartografia potrebbe esserci una fonte comune.
Il volume, ricchissimo di carte, esamina la cartografia delle varie nazioni europee con una gran messe di particolari che mettono in gioco la scienza, che va via via costruendo le proprie certezze, e la fantasia, ingrediente sempre presente quando si ragiona di uomini. Per concludere che le Alpi vennero prese sul serio in tempi abbastanza recenti, quando gli uomini, appunto, incominciarono seriamente a dominarle. - Corriere della Sera
Di chi è la vetta d’Europa?
Un libro sulla cartografia delle Alpi
LA DISFIDA DEL MONTE BIANCOClaudio ColomboLa mappa francese del 1865? Un falso.Si riapre il casoSi chiamava Jean-Joseph Mieulet ed era un capitano dell’esercito francese con l’hobby della geografia e della montagna. Nel 1865, dopo due anni di rilevamenti topografici, apparve la sua «Carta del Monte Bianco», pubblicata su ordine dello stato maggiore di Francia. Geopoliticamente parlando, non fu un avvenimento secondario: se oggi i nostri cugini d’Oltralpe ritengono di loro proprietà la vetta più alta d’Europa – un concetto, come vedremo, non riconosciuto ma colpevolmente tollerato da noi italiani – è proprio per quella centenaria e accuratissima mappa, dove il Mieulet, tracciando il confine tra Francia e Italia, pone la cima del Bianco, a quota 4.807 metri, completamente in territorio francese. Morale: pur non avendo alcun valore giuridico, la carta di Mieulet fece testo ed è per questo che le proteste degli italiani – o almeno di quei pochi che considerano la cima del Bianco lo spartiacque tra Francia e Italia: metà di qua, metà di là – sono destinate a essere minoranza nel contenzioso che dura tuttora, e appassiona storici e geografi. La mappa di Mieulet è un piccolo-grande esempio di come la cartografia, a volte, abbia influenzato la storia. Di certo, essa condizionò la visione geografica dell’uomo, soprattutto nel periodo in cui, giovane scienza, era in fase, diciamo così, di crescita.
Per questo è interessante sfogliare il volume di Laura e Giorgio Aliprandi, appena pubblicato daPriuli & Verlucca, sulla Cartografia Alpina dal 1482 al 1885: un preciso e documentatissimo excursus dentro un difficile esercizio che, talvolta, diventa arte. Il caso del Monte Bianco è esemplare, ma è soltanto la punta di un iceberg: tante – e naturalmente giustificatissime, visti i mezzi dell’epoca – le cantonate prese dai cartografi dell’epoca. Una, abbastanza clamorosa, riguarda una montagna che si trova appena al di là del confine italo-francese, il Mont Iseran, che la letteratura alpina del ’700 descriveva come un colossale massiccio dal quale nascevano tre fiumi: l’Arc, l’Isére e l’Orco. A metà dell’800 l’interesse per questa montagna era notevole, a giudicare dalle attenzioni che i topografi dedicavano a quella particolare zona alpina. Molta cura, si potrebbe dire, ma poca precisione, perché nel foglio 37 della «Gran Carta degli Stati sardi in terraferma» (1852) gli specialisti piemontesi lo quotarono a 4.045 metri. Questo determinerà una incredibile confusione che sarà riparata una ventina di anni dopo, a seguito delle rimostranze e delle critiche degli alpinisti inglesi, che si erano trovati nella situazione paradossale di voler scalare un 4.000 che non esisteva.
L’errore di misurazione fu originato da una curiosa situazione. Il Mont Iseran ottocentesco, in realtà, non era posizionato dove pensavano i cartografi: altro non era che il risultato della visione da lontano dei due massicci della Levanna e del Gran Paradiso, che all’osservatore italiano (versante piemontese) sembravano un’unica grande montagna.
Curiosità nella curiosità: oggi l’Iseran, inequivocabilmente alto 3.237 metri, è noto anche come Signal de l’Iseran, perché è utilizzato come punto di riferimento per le misurazioni topografiche e cartografiche. Quando si dice l’ironia della sorte. - Il Giornale
PAROLE DI CARTA IN ALTA QUOTA TRA STORIA, STORIE E PAESAGGI
Lorenzo ScandroglioUn titolo «di peso » per chi la montagna non la vive solo scalando o sciando ma ne fa oggetto di approfondimento culturale: Le Grandi Alpi nella cartografia 1482-1885 di Laura e Giorgio Aliprandi è uno dei titoli più significativi del settore usciti negli ultimi anni.In sostanza si tratta di un’indagine di cartografia storica, con frequenti riproduzioni a stampa a colori o in bianco e nero, che mostra come è cambiata, nell’arco di quattro secoli, la percezione delle Alpi nelle mappature di epoche – e bisogna tenerne conto – in cuinon esistevano le foto aeree. Dunque unasorta di storia della cartografia alpina che evidenzia come la scoperta delle Alpi da parte dei cartografi sia stata lenta e graduale, finalizzata per lo più alla descrizione dei colli utilizzati per motivi commerciali, militari e religiosi. Il libro è, in realtà, il primo di due volumi, il secondo dei quali affronterà la tematica della cartografia specialistica delle Alpi.
- L’Eco di Bergamo
I CARTOGRAFI ALL’ASSALTO DELLE ALPI
Si deve a loro la progressiva conoscenza delle caratteristiche della grande catena di montagne
Dalle prime incerte, e spesso fantasiose, raffigurazioni
alla chiara identificazione del territorio
Pino CapelliniÈ stato l’Anno Santo del 2000 a risvegliare l’interesse sui grandi itinerari attraverso l’Europa, in particolare quelli usati dai pellegrini medievali per raggiungere Roma. La Via Francigena è uno di questi, nota soprattutto perché ne è rimasta una chiara memoria da prima dell’anno Mille, quando il monaco Sigerico andò dall’Inghilterra a Roma, lasciando una dettagliata memoria del viaggio di ritorno.
Cinquecento anni più tardi, i pellegrini dalla Francia o dalla Germania avessero voluto andare a pregare sulla tomba di San Pietro avrebbero potuto disporre di uno strumento molto più sicuro delle scarne note tracciate dal monaco inglese. Addirittura una carta geografica a stampa, «Romweg» o carta itineraria dei pellegrini, uscita nel 1492 e ristampata proprio per l’Anno Santo 1500, nella quale le Alpi non sono più rappresentate come incerta barriera, bensì come catena di montagne attraversata da tre passi chiaramente indicati: dello Spluga, del Brennero e di Tarvisio.
Un avvenimento di grande importanza, non a caso coincidente con la scoperta dell’America, che facilitò sicuramente il viaggio di chi doveva attraversare le Alpi. Tanto più che l’autore della carta - Erhard Etzlaub, considerato l’iniziatore delle carte itinerarie - la mise in vendita con un «Register» che ne facilitava la consultazione. Una carta antesignana, quasi, della vastissima produzione Touring, concepita per essere utilizzata da pellegrini e viaggiatori, ai quali non interessava altro che il percorso da seguire, senza scendere in altri dettagli. Ma con una eccezione. Vi è indicato per la prima volta il San Bernardo, pur senza nessun riferimento all’itinerario attraverso il colle, forse perché l’autore si rivolgeva ai pellegrini provenienti dal nord, il cui interesse era concentrato sui tre valichi più evidenti e frequentati.
Nel vasto, e magistrale, studio condotto dai coniugi Giorgio e Laura Aliprandi, il primo medico e la seconda laureata in farmacia, sulla cartografia alpina, le carte itinerarie svolgono un ruolo importante nella conoscenza della grande catena di montagne. Ma basta sfogliare il loro ultimo volume (Le Grandi Alpi nella cartografia 1482-1885) pubblicato da Priuli & Verlucca per rendersi conto della mole di lavoro svolto dai cartografi via via che procedeva l’esplorazione delle montagne e del loro territorio.
Gli autori hanno fatto riferimento solo alle carte a stampa. Delle 722 di ogni È tipo che i coniugi Aliprandi, prima come collezionisti e quindi come studiosi di livello internazionale, hanno schedato, nel volume ne vengono presentate circa cinquecento, tra le quali solo alcune, considerate indispensabili al completamento del testo, sono manoscritte.
La prima carta a stampa riprodotta porta la data del 1482 ed è considerata di particolare interesse in quanto vi sono indicati per la prima volta i colli delle Alpi occidentali; l’ultima data di riferimento - ossia 1885 - è di importanza fondamentale per la cartografia alpina in quanto è a partire da questo anno che diviene possibile il rilevamento delle alte quote. Mentre in precedenza le misurazioni avvenivano portando gli strumenti sulle cime oppure effettuando rilievi attraverso triangolazioni, con il metodo della fototopografia messo a punto dall’ingegnere Pio Paganini dell’Istituto Geografico Militare di Firenze, l’operazione è resa molto più semplice grazie all’impiego della fotografia.
Prima di allora i cartografi dovettero mettere un bel po’ di salite nelle gambe. Alle origini delle carte dei territori alpini vi sono le motivazioni più varie. Dall’uso pratico per chi deve viaggiare, come abbiamo visto con gli itinerari per i pellegrini, alla produzione di album e volumi destinati ad un pubblico colto, all’esigenza degli Stati di rappresentare con la maggior chiarezza possibile le caratteristiche delle singole nazioni: montagne e fiumi, laghi e foreste, città e paesi e, ragione fondamentale all’insorgere di dispute e conflitti, i confini tra Stato e Stato. E in modo particolare soprattutto se lo Stato, come il regno di Savoia, si estende la massima parte tra le montagne.
Le «Grandi Alpi» sulle quali si è concentrata l’attenzione dei coniugi Aliprandi nella stesura del libro fa riferimento in particolare alla zona compresa tra il Piccolo San Bernardo e il Monte Rosa. In questo senso la cartografia francese, nella quale prevalgono gli interessi strategici, è determinante. Carlo VIII, re di Francia, si affidò a Jaques Signot per avere una precisa descrizione dei colli e delle strade che avrebbero permesso la discesa in Italia della sue armate. Nasce così «La carte Ditalie» del 1515, dove sono descritti dettagliatamente dodici passi (di cui dieci citati anche sulla carta geografica).
Sempre dovuti a motivi militari, i progressi compiuti in questo campo dai francesi nel corso del Seicento saranno fondamentali nella storia della cartografia delle Alpi, ponendo le premesse alla elaborazione delle carte militari nel periodo napoleonico. E si deve pure a un francese, il capitano Jean-Joseph Mieulet, se la più alta vetta d’Europa nella sua «Carta del Monte Bianco», pubblicata nel 1865, venne collocata tutta in territorio francese, mentre il confine avrebbe dovuto seguire la linea dello spartiacque.
Da allora la vetta del Bianco è considerata di proprietà della Francia, nonostante le proteste di storici e geografi italiani. Sulle carte italiane il confine passa sulla vetta. Un vecchio contenzioso che dura tuttora. - La Repubblica.itLE GRANDI MAPPE DI MONTAGNA
QUANTO FASCINO IN QUEI CONTORNI
Leonardo Bizzarro
Pochi sport come l’alpinismo scatenano manie collezionistiche. Sì, c’è qualche feticista del calcio, che mette sotto vetro una maglietta sudata, del baseball di là dall’oceano, i raccoglitori di biciclette e accessori d’epoca che poi li utilizzano in manifestazioni suggestive come la corsa dell’Eroica. Ma niente come la montagna riesce a far aprire addirittura librerie specializzate, in edizioni contemporanee, ma soprattutto antiquarie. C’è dietro la spinta dell’esplorazione, è vero, a spiegare un interesse così vivace, dalle vette ci si allarga spesso alla letteratura di viaggio, l’avventura è una calamita importante per il lettore e dunque, di pagina in pagina, per il collezionista. Non c’è solo il gesto atletico, insomma, a muovere tutto un universo culturale che ha davvero pochi eguali.
Non ci si stupisce, dunque, quando escono nuovi titoli che dall’ambito strettamente collezionistico hanno originato studi importanti a livello internazionale, com’è il caso della sontuosa raccolta di mappe delle Alpi raccolte in trent’anni di ricerche da Laura e Giorgio Aliprandi, presentate adesso da Priuli & Verlucca nel primo volume di Le grandi Alpi nella cartografia 1482-1885.
Sfogliarne le pagine è affascinante anche solo per vedere come sono state rese le montagne, dai triangolini della carta del Ducato di Milano del 1742, di Pierre Mortier, alla bellezza pittorica di quella del Monte Bianco del 1865, di Anthony Adams Reilly.
D’altronde il confine tra il lavoro del topografo e l’arte del pittore è piuttosto esile. Godwin-Austen, che per primo nel 1864 ha raffigurato il K2 in una mappa della Royal Geographical Society, era andato a scuola da un vecchio disegnatore francese, dopo aver seguito studi di topografia in Gran Bretagna. Ma non c’è solo il piacere dell’illustrazione, che ti spinge a seguire i contorni di una mappa. “Da ragazzino - scrive Joseph Conrad in Cuore di tenebra - avevo una grande passione per le carte geografiche (...). A quel tempo, c’erano molti spazi vuoti sulla faccia della terra, e quando ne vedevo uno che sembrava particolarmente invitante (ma tutti lo sono, su una carta geografica), ci mettevo sopra il dito e dicevo: da grande, ci andrò”.
E ancora, si celano gialli geografici, dietro la curva di un confine più o meno arcuata. Una delle tante guerre nel Kashmir conteso tra Pakistan e India è nata proprio dalla pubblicazione di una carta che suddivideva malamente quelle montagne. E, per tornare al grosso volume dei coniugi Aliprandi, c’è la mappa del 1794, opera di Jean-Joseph Mieulet, che racconta sciovinisticamente una bugia, mai rettificata. È il confine più alto d’Europa, la linea che passa sui 4.810 metri del Monte Bianco - 4.807 secondo il disegnatore, capitano dell’esercito francese - assegnandolo per intero alla Francia. Un falso, anche se non si è mai riusciti a stabilire una volta per tutte l’appartenenza della montagna. Il confine dovrebbe passare esattamente sulla cima, anche se un documento conservato all’Archivio di Stato di Torino la dà integralmente all’Italia. Certo non è tutta francese, checché ne pensino i cugini d’oltralpe. Monte Bianco, altro che Mont Blanc. - Repubblica.it
LE GRANDI MAPPE DI MONTAGNA
QUANTO FASCINO IN QUEI CONTORNI
Leonardo BizzarroPOCHI sport come l'alpinismo scatenano manie collezionistiche. Sì, c'è qualche feticista del calcio, che mette sotto vetro una maglietta sudata, del baseball di là dall'oceano, i raccoglitori di biciclette e accessori d'epoca che poi li utilizzano in manifestazioni suggestive come la corsa dell'Eroica. Ma niente come la montagna riesce a far aprire addirittura librerie specializzate, in edizioni contemporanee, ma soprattutto antiquarie. C'è dietro la spinta dell'esplorazione, è vero, a spiegare un interesse così vivace, dalle vette ci si allarga spesso alla letteratura di viaggio, l'avventura è una calamita importante per il lettore e dunque, di pagina in pagina, per il collezionista. Non c'è solo il gesto atletico, insomma, a muovere tutto un universo culturale che ha davvero pochi eguali.
Non ci si stupisce, dunque, quando escono nuovi titoli che dall'ambito strettamente collezionistico hanno originato studi importanti a livello internazionale, com'è il caso della sontuosa raccolta di mappe delle Alpi raccolte in trent'anni di ricerche da Laura e Giorgio Aliprandi, presentate adesso da Priuli & Verlucca nel primo volume di Le grandi Alpi nella cartografia 1482-1885 (360 pagine, 90 euro).
Sfogliarne le pagine è affascinante anche solo per vedere come sono state rese le montagne, dai triangolini della carta del Ducato di Milano del 1742, di Pierre Mortier, alla bellezza pittorica di quella del Monte Bianco del 1865, di Anthony Adams Reilly.
D'altronde il confine tra il lavoro del topografo e l'arte del pittore è piuttosto esile. Godwin-Austen, che per primo nel 1864 ha raffigurato il K2 in una mappa della Royal Geographical Society, era andato a scuola da un vecchio disegnatore francese, dopo aver seguito studi di topografia in Gran Bretagna. Ma non c'è solo il piacere dell'illustrazione, che ti spinge a seguire i contorni di una mappa. "Da ragazzino - scrive Joseph Conrad in Cuore di tenebra - avevo una grande passione per le carte geografiche (...). A quel tempo, c'erano molti spazi vuoti sulla faccia della terra, e quando ne vedevo uno che sembrava particolarmente invitante (ma tutti lo sono, su una carta geografica), ci mettevo sopra il dito e dicevo: da grande, ci andrò".
E ancora, si celano gialli geografici, dietro la curva di un confine più o meno arcuata. Una delle tante guerre nel Kashmir conteso tra Pakistan e India è nata proprio dalla pubblicazione di una carta che suddivideva malamente quelle montagne. E, per tornare al grosso volume dei coniugi Aliprandi, c'è la mappa del 1794, opera di Jean-Joseph Mieulet, che racconta sciovinisticamente una bugia, mai rettificata. È il confine più alto d'Europa, la linea che passa sui 4.810 metri del Monte Bianco - 4.807 secondo il disegnatore, capitano dell'esercito francese - assegnandolo per intero alla Francia. Un falso, anche se non si è mai riusciti a stabilire una volta per tutte l'appartenenza della montagna. Il confine dovrebbe passare esattamente sulla cima, anche se un documento conservato all'Archivio di Stato di Torino la dà integralmente all'Italia. Certo non è tutta francese, checché ne pensino i cugini d'oltralpe. Monte Bianco, altro che Mont Blanc. - La rivista della Montagna
Le Grandi Alpinella Cartografia 1482-1885 - Rivista geografica italiana
Le grandi alpi nella cartografia 1482-1885. I. Storia della cartografia alpina - Rivista geografica italiana
Le grandi alpi nella cartografia 1482-1885. I. Storia della cartografia alpina - Rivista geografica italiana
Le grandi alpi nella cartografia 1482-1885. I. Storia della cartografia alpina - La Stampa
Il XIII Premio Balmas ai coniugi Aliprandi
A Saint-Vincent. Il riconoscimento per «Le grandi Alpi nella cartografia»
«Per la loro importante attività scientifica e per l’amore e la devozione dimostrati alla Valle d’Aosta e alle sue montagne ». Con queste motivazioni la giuria della XIII edizione del Premio Balmas, dedicato alla cultura valdostana, in ricordo di Enea Balmas, illustre francesista italiano, docente all’Università di Milano, morto nel 1994, ha premiato a Saint- Vincent i coniugi Laura e Giorgio Aliprandi autori dell’opera in due volumi «Le grandi Alpi nella cartografia» pubblicato da Priuli & Verlucca. I volumi, frutto di anni di ricerca, si caratterizzano per le riproduzioni delle carte, considerate vere opere d’arte, alla luce delle nuove acquisizioni metodologiche e dei documenti cartografici scoperti di recente. La giuria ha poi segnalato i finalisti. Silvana Presa, Jean- Patrick Perruchon per il libro «Corrado Gex. Il vit clair. Il vit loin» pubblicato da Musumeci e Joseph Peaquin per il documentario d’inchiesta su Gex, considerati, insieme, «una sintesi riuscita d’una vita straordinaria, intensa come un volo sui ghiacciai, capace di trasmettere un messaggio esemplare alle giovani generazioni ». Ancora segnalato Saverio Favre, direttore del Brel (Bureau régional pour l’Ethnologie et la Linguistique) per l’attività di ricerca e per l’opera «Zéro-Quinze. L’enfance et l’adolescence dans la photographie valdôtaine de 1890 à 1970» e per l’attività culturale, storica e sociale che «fa splendere la cultura e le lingue della Valle d’Aosta». Infine è stata segnalata Augusta Cerutti per l’opera collettiva «Jean Domaine. Poète et chantre. Appassionato cantore de “La verda vallaye”», Dvd e libro stampato da Imprimerie valdôtaine, «lavoro paziente di ricerca, contributo alla memoria sonora e alla cultura musicale e letteraria valdostana». La giuria, espressa dalla Società universitaria per gli studi di lingua e letteratura francese ha poi assegnato, ex aequo, il XVI Premio di lingua e letteratura francesi a Mariella Di Maio autrice di «Stendhal. Romanzi e racconti» edito ne «I Meridiani» Mondadori, e Alessandra Preda per «Ilarità e tristezza. Percorsi francesi del “Candelaio” di Giordano Bruno», editrice Led.
- B.R.E. Rassegna n. 24
IL MONVISO NELLA CARTOGRAFIA
Un’opera enciclopedica ripercorre la storia della cartografia alpina. Ecco come le carte geografiche hanno descritto, nel corso dei secoli, la montagna più rappresentativa del Piemonte.
Tra le novità editoriali dello scaffale dedicato alla montagna, la fine del 2007 ha portato in libreria un volume di grande formato, realizzato dalla Priuli & Verlucca e intitolato “Le grandi Alpi nella cartografia 1482-1885”: al suo interno, la montagna più rappresentativa del Cuneese e del Piemonte, il Monviso, ha una parte di rilievo. Si tratta di un’opera enciclopedica suddivisa in due libri (il primo risale al 2005), che guarda alle Alpi attraverso le particolari “lenti” della cartografia realizzata nel corso della storia. Un ingente lavoro di mappatura e rilievo con cui l’uomo durante i secoli ha cercato di rappresentare le montagne, per conoscerle e attraversarle, sfruttando passi e valli in modo da agevolare i rapporti tra i due lati della catena alpina. Le illustrazioni a colori delle carte topografiche offrono, tanto all’appassionato di montagna quanto a chi studia la storia, uno spaccato tanto inusuale quanto interessante.Se il primo volume centrava la sua attenzione sulla cartografia in generale, ripercorrendola nel tempo e focalizzandosi su alcuni periodi storici ben precisi (e cioè, tra le altre, la cartografia alpina prima delle carte a stampa, la cartografia alpina a stampa, la cartografia alpina in Svizzera e poi via via fino alla cartografia alpina in Inghilterra), per il secondo gli autori Laura e Giorgio Aliprandi hanno voluto dedicarsi ai principali gruppi montuosi delle Alpi occidentali. E accanto alle montagne “mitiche” della Valle d’Aosta, come il Monte Bianco, il Monte Rosa, il Gran Paradiso, il Cervino e il settore dei colli del Piccolo e del Gran San Bernardo, il volume destina ampio spazio anche al cuneese Monviso, il “Re di Pietra”. Il motivo di questa scelta viene esplicitato dagli autori stessi: “Per il Monviso, l’elemento cartografico caratteristico è il “Buco di Viso”, primo traforo delle Alpi, terminato nel 1480 ad opera di maestranze piemontesi e francesi, voluto per facilitare il trasporto del sale dal Delfinato al Marchesato di Saluzzo, evitando gli onerosi pedaggi dei Savoia. Questa galleria è rappresentata nell’antica cartografia sia francese sia piemontese con immagini suggestive che ne fanno un unicum nella storia cartografica delle Alpi”.
Tra le carte riportate nel volume, alcune sono davvero curiose: per esempio, nel “Mappamondo di Frà Mauro”, risalente alla metà del ‘400, l’Italia è rappresentata capovolta rispetto a come si usa oggi, cioè orientata sud-nord. Il Monviso è citato, anche se la carta comprende un territorio molto vasto. Più di dettaglio e leggermente più recente è la carta “Gallia Novella” di Francesco Berlinghieri. Indica sei colli, e tra questi anche il “Vesulo Mo”, toponimo con cui però ci si riferisce non tanto al Monviso quanto al vicino Colle delle Traversette. Sulle carte successive, spesso realizzate con la tecnica dei “mucchietti di talpa”, il Monviso viene sovente rappresentato, il che costituisce una particolarità: infatti, fino al ‘700 molto raramente i cartografi hanno rivolto la loro attenzione alle montagne, e quasi sempre si sono concentrati sui valichi. Ma il Monviso, chiamato anticamente “Vesulus” proprio perché facilmente visibile e riconoscibile da un gran numero di località, evidentemente costituiva un’eccezione.
Di carta in carta il volume ci porta quindi a scoprire come è cambiata la cartografia nei secoli. Si vede così come il dettaglio sia andato aumentando sempre più e abbia portato già nel 1700 a carte di notevole interesse e di ottimo livello, tanto più se si considera che allora erano ancora da venire le tecniche odierne di rilievo topografico che utilizzano fotografie, satelliti, strumenti elettronici. Si arriva infine alle carte del Regno di Sardegna, risalenti alla fine dell’Ottocento: mappe ricche di particolari e precise, moderne, fedeli rappresentazioni del terreno, senz’altro ottimali per lo scopo per cui sono state realizzate. Ma anche più povere per quanto riguarda la carica evocativa che le più antiche indubbiamente portavano con sé. - Il Sole 24 Ore
Che giallo il Monte Bianco
Estratti
IL VOLUME È VINCITORE DEL PREMIO GAMBRINUS "GIUSEPPE MAZZOTTI" XXIV EDIZIONE, Sezione Montagna
La storia di questo libro nasce nel 1970, quando tre persone che soggiornavano abitualmente durante le vacanze in Val d’Ayas, ad Antagnod, un medico, una farmacista e un dirigente d’azienda, iniziarono uno studio sull’antica cartografia della Valle d’Aosta. L’elemento scatenante fu casuale: l’acquisto da parte di uno di loro di una carta geografica antica del Piemonte per un dono. Le tre persone con passione iniziarono così uno studio sulla cartografia delle Grandi Alpi che li portò a pubblicare dopo quattro anni, nel 1974, il volume Le Grandi Alpi nella cartografia dei secoli passati 1482-1865 per i tipi di Priuli & Verlucca.
Il libro ebbe successo, l’edizione fu esaurita in poco tempo ed entrò nella dotazione delle principali biblioteche civiche e private europee e in quelle delle Università americane. Attualmente è reperibile solo sul mercato antiquario ed è diventata un’opera molto richiesta. Il riscontro favorevole ottenuto dal volume del 1974 non costituì per i tre autori un punto d’arrivo. Purtroppo dopo un solo anno dalla pubblicazione del libro uno degli autori, Massimo Pomella, che era stato l’ideatore del progetto, venne a mancare prematuramente. Proprio in sua memoria, e tenendo presente i suoi insegnamenti sulla cartografia, Laura e Giorgio Aliprandi continuarono sistematicamente le ricerche iniziate, pubblicando testi e articoli di cartografia alpina settoriale, ad esempio sul Monte Bianco in collaborazione con la Bibliothèque Nationale di Parigi nel 1984, sul problema delle migrazioni walser a sud del Monte Rosa, tenendo conferenze e organizzando mostre di cartografia: di particolare rilievo quella a Chamonix nella stagione 2000-2001 organizzata dal Comune e ospitata presso il Museo Alpino.
L’idea di fondo che animava questa continua ricerca era quella di ampliare e aggiornare il volume pubblicato nel 1974, anche alla luce delle nuove acquisizioni sia di carte che di documenti di letteratura alpina, ma questo progetto veniva sistematicamente rimandato anche per comprensibili motivi professionali di lavoro che non permettevano di trovare il tempo per ordinare il materiale raccolto per la stesura di una nuova edizione.
Stimolati da amici e dallo stesso editore, circa tre anni fa Laura e Giorgio Aliprandi si misero ad ordinare la documentazione raccolta in questi trent’anni che sarebbe servita per porre le basi di un nuovo testo, sollecitati anche dal fatto che in tutto questo tempo non era apparso nella letteratura alpina un volume analogo e cioè uno studio sistematico della cartografia delle Grandi Alpi che, intrecciato agli eventi storici, fosse finalizzato anche allo studio degli antichi passaggi.
L’opera attuale Le Grandi Alpi nella cartografia 1482-1885 è un’indagine di cartografia storica in quanto gli autori hanno cercato di ritrovare nelle carte geografiche le tracce delle vicende umane, politiche, militari e religiose che costituiscono la storia del territorio alpino. Lo studio dei toponimi, delle frontiere e soprattutto dei colli che rappresentano la parte più «umana» che la cartografia delle Alpi può offrirci, ha consentito di realizzare questo volume.
Per gli autori la carta geografica non è una semplice rappresentazione del territorio come sempre è stata considerata, ma un «documento storico» fino ad ora trascurato nella storiografia: la frase latina «Historiæ oculus geographia» sintetizza il loro modo di considerare l’argomento della cartografia alpina. Il vecchio testo del 1974, completamente rinnovato, ha costituito per gli autori un punto di riferimento di cui hanno tenuto presente solo l’impianto e il piano dell’opera.
La quantità di materiale raccolto ha permesso di suddividere il lavoro in due volumi: il primo dedicato alla storia della cartografia alpina, che illustra come la scoperta delle Alpi da parte dei cartografi sia stata lenta e graduale; la ricerca è stata finalizzata soprattutto alla descrizione dei colli utilizzati per motivi commerciali, religiosi, militari.
Il secondo volume affronta la tematica della cartografia specialistica delle Alpi, prendendo in considerazione lo studio settoriale delle Grandi Alpi dal Monviso al Monte Rosa. È stato un lavoro impegnativo e gravoso, difficile da organizzare anche perché il materiale raccolto in tanti anni di ricerca assommava a più di 700 carte, ridotte a circa 500 effettivamente utilizzate per la pubblicazione e elencate alla fine del secondo volume in un catalogo riassuntivo.
Quest’opera di largo respiro si può considerare la «summa» delle carte geografiche antiche relative alle Grandi Alpi, che mai sono state una barriera e mai, grazie ad un sistema di colli e passaggi ben messi in evidenza dallo studio cartografico, hanno diviso le genti al di qua e al di là della catena alpina.