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Piemonte 360°

Piemonte 360°

Cartonato con sovracoperta,
formato 23 x 22, pagine 136
ISBN 978-88-8068-888-4
Disponibile in libreria

 


Nell’estate del 1989 venni a Torino per girare un breve film: doveva celebrare la città in occasione dei Mondiali di calcio che si sarebbero svolti l’anno dopo. Fu un soggiorno più lungo delle altre volte: di solito quando vengo a Torino – la città dove nacqui – mi fermo per un giorno o al massimo due, a seconda delle occasioni e qualche volta dei pretesti che mi invento per tornarci. Ma si sa, per girare un film, anche se breve, ci vuole tempo: in quel caso, poi, bisognava fare un film che spiegasse alla

meglio, rapidamente, la città a chi non l’aveva mai vista.

Come si fa a raccontare una città in otto minuti? Come ho fatto a raccontare in così poco tempo la città che amo più di ogni altra? Bisogna fare delle scelte crudeli: questo lo faccio vedere e questo no. Ogni rinuncia è dolorosa e va meditata. Ed io, con calma, mi misi a ripercorrere le vie e le piazze di Torino, che conosco così bene e che corrispondono ad una topografia dei sentimenti e dei ricordi che è tracciata profondamente nella mia memoria. Ogni via, ogni piazza mi ricorda un volto, un incontro, un

amico. Tanto è l’amore di cui mi ha nutrito questa città. Rividi i luoghi della mia infanzia e della mia adolescenza: la Mole Antonelliana con la sua guglia altissima, vero e proprio tempio astratto dell’Idea ottocentesca del Progresso, piazza San Carlo, luogo perfetto, calmo, razionale, di un ideale ordine civile, la chiesa della Consolata dedicata al culto di Maria Consolatrice, la stazione di Porta Nuova che pur, con accenni neoclassici, già lascia presagire i moduli dell’architettura industriale di cui

Torino è stata ed è un laboratorio di sperimentazione perenne. E poi il Parco del Valentino e le rive del Po.

Un giorno, passeggiando nei pressi della stazione, nella via più agitata di tutta la città, fui colpito da una scena che vidi per strada. Non avevo ancora deciso come iniziare il mio cortometraggio e quella scena che vidi lì, per caso, senza averla cercata, mi sembrò ideale. Ma non perché fosse rappresentativa di Torino, anzi, proprio per l’esatto contrario: un ragazzo e una ragazza, in piedi su di un marciapiede spartitraffico, si baciavano in mezzo al traffico snervante e caotico dell’ora di punta. Non c’era

nient’altro – come quella scena – di così contrario allo spirito della mia città. Però mi piacque per la forza persuasiva con la quale si impose alla mia attenzione e quindi decisi che l’avrei messa in testa alle immagini: la mia voce fuori campo avrebbe avvertito lo spettatore che stava assistendo a qualcosa di incongruo, di stonato, che rappresentava Torino per contrasto, negandone lo spirito più genuino. In fretta e furia mi misi alla ricerca di due comparse che avrebbero dovuto rifare ciò che avevo visto

dal vivo, le trovai e qualche giorno dopo feci ripetere loro la scena, in mezzo al traffico cittadino.

Era il primo giorno di riprese. Nella confusione del set, nel caos di quella strana attività che è l’allestimento di una scena cinematografica, mi sentivo felice. Ero nella mia città e vivevo un momento perfetto: il languore malinconico di quel tempo e di quel luogo mi era familiare e l’avevo già provato. E una sorta di struggimento dello spirito che mi assale tutte le volte che torno a Torino. Ero felice e le riprese della scena carpita alla realtà furono le più belle. Ma anche quelle che mi fecero soffrire di più.

Me le rubarono infatti!

Il corriere che trasportava la pellicola a Roma fu rapinato e svaligiato e la pellicola finì chissà dove. Stetti malissimo per quell’incidente: sapevo che se avessi girato di nuovo la scena rubata – come poi effettivamente feci – non sarei riuscito a fissarla con la stessa fedeltà, con la stessa precisione, con la stessa viva naturalezza della prima volta. La curiosità – quasi una sfida con me stesso – di ritrovarla dal vivo, mi spinse a cercarla altrove. Per esempio in tutte le città del Piemonte: ad Alessandria, vasta, deliziosa città, per lunghi mesi ovattata nella nebbia, così riposante per la discrezione e per la mancanza, vivaddio!, di qualunque folclore; ad Asti con il suo Alfieri; a Cuneo gloria della Resistenza; a Novara con l’altissima cupola della Basilica, sorella della Mole Antonelliana di Torino e visibile a molti chilometri di distanza, e a Vercelli dove fu istituita la prima

diocesi piemontese.

Ma la mia scena non la ritrovai più. In compenso ritrovai tutto il Piemonte da girare in lungo e in largo. È vero che ho avuto, grazie al cinema, una quantità di occasioni di girare il Piemonte: ad esempio quando accompagnai mio figlio alla ricerca dei luoghi per le sue riprese dei miei «Racconti del maresciallo» o quando girai in Piemonte delle scene che avrei dovuto girare altrove. Accadde durante le riprese di «Piccolo mondo antico»: per fedeltà al romanzo, avrei dovuto girare la difficile scena di

un ballo primaverile all’aperto, in val Solda. Ma eravamo in autunno avanzato e in quella regione gli alberi erano completamente

spogli.

Scelsi allora uno straordinario bosco di abeti e larici nella val di Susa: in quegli anni non esisteva il colore nel cinema perciò il bagliore biancastro delle foglie di quella foresta poté simulare facilmente – in bianco e nero – il colore verde della primavera. La scena risultò bellissima. Invece la mia scena – quella rubata – ormai era solo più un pretesto, ma il viaggio – vero o di fantasia che fu – continuò. E da allora, ma anche da prima di allora, non si è mai interrotto perché è un viaggio nella memoria alla ricerca dei luoghi che sono cari o lo sono stati ai miei amici e a me. È un viaggio inesauribile e continua anche adesso.

Mario Soldati

 
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