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Per una chiesa scalza

Per una chiesa scalza

Con il discorso di papa Francesco al Sermig

Prefazione dell’arcivescovo Cesare Nosiglia

Postfazione di Erri De Luca

Brossurato con copertina plastificata a colori, 288 pagine, formato 14x21,5 cm

ISBN 979-12-5468-025-4

Disponibile in libreria
dal 15 settembre 2023
X EDIZIONE
OLTRE 85.000 COPIE VENDUTE



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Caro padre Cesare, Vescovo e amico,

 

io scrittore? Che idea assurda. A scuola ero un disastro, sempre rimandato o bocciato, sempre l’ultimo. Mi sentivo timido e impacciato, quasi insignificante. Però ho incontrato tante persone, tante. Ho asciugato tante lacrime, tante. Ho frequentato e amato terroristi e assassini. Allo stesso modo, ho fatto mio il dramma e il dolore delle vittime. Sento ancora addosso il sangue di bambini che hanno subìto violenza, la paura dei perseguitati che sono scappati dai loro Paesi, il vomito di ragazzi schiacciati da droghe e sostanze infami. Oggi in fondo sono un bambino di strada, sono una prostituta, sono uno straniero. Ho conosciuto persone potenti e gente semplice e non ho mai cambiato atteggiamento perché voglio incontrare delle anime, non un portafoglio. Ho sempre pensato che chi ha di più, deve dare di più, chi ama, deve amare di più, far arrivare l’amore che ha dentro a più persone possibili. L’amore è fatto così: più si dà, più cresce. E chi sa provare compassione, non deve stancarsi di ascoltare.

Ho capito da subito che il Maestro è uno e che noi tutti siamo allievi. Molti anni fa, intorno a me si è creato un gruppetto di persone. Una notte, era il Venerdì Santo del 1979, come in un lampo ho capito che saremmo diventati tanti. Sentii come una voce interiore che diceva: «Ci stai o non ci stai? Accetti o non accetti? Se ci stai, devi cambiare carattere. Pregare continuamente per la sapienza tutto il giorno. Essere trasparente, capace di discernimento. Pubblicare i bilanci, accettare le critiche di tutti specialmente dei giovani». Ad alta voce dissi il mio sì: «Amici, la nostra vita sta cambiando. Da oggi fate come se io sia già morto. Ognuno di noi è adulto e responsabile di sé stesso davanti a Dio. Il Maestro è uno. Noi tutti siamo allievi».

E così, noi siamo cresciuti man mano che il nostro amore ci faceva vedere gli avvenimenti con occhi diversi e capire che Dio voleva qualcosa di nuovo da noi. Da allora per tutti noi la strada è stata solo una: cercare di somigliare un po’ a Gesù. Nutrirsi di Vangelo. Meditarlo, sapendo che nel Vangelo c’è casa, con una porta larga sempre aperta dove tutte le persone che vogliono possono entrare e trovare pace e conversione. Quando si frequenta il Vangelo, ci si accorge che Gesù va fuori dei gangheri per due cose: per chi viola e non rispetta i bambini (i deboli, gli indifesi) e per chi abusa del potere. Per Gesù più si va in alto, più si deve essere buoni; più si è potenti, meno si deve usare il potere per sé, più si sta ai piani alti, più si deve frequentare quelli in basso, per essere servi di tutti, nell’umile servizio al prossimo.

Per questo, il desiderio mio e dei miei amici è sempre stato uno: essere semplicemente cristiani, attaccati a Gesù, nella sua Chiesa. Solo così si diventa cristiani maturi e non infantili cortigiani di miti umani. Significa usare il buon senso, aiutare le persone a crescere, dedicarsi con entusiasmo sin da piccoli a formare le coscienze. A rispettare le diversità. Ad assumersi le responsabilità. A far germogliare la speranza. È un impegno che vale per tutti! Chi crede, deve entrare nella logica della formazione permanente, in un catechismo che dura tutta la vita e in ogni stagione fa crescere nella conoscenza di Dio. In famiglia, a scuola, in parrocchia o seminario, bisogna prima di tutto formare delle persone responsabili che sappiano essere bravi cittadini. Il resto viene dopo. Altrimenti non c’è futuro.

Solo vivendo così si può sognare e coltivare grandi ideali. I miei sono quelli che mi accompagnano da sempre. Vorrei che ogni uomo e ogni donna fossero felici. Vorrei che ogni bambino potesse andare a scuola ed essere curato. Vorrei che tutti fossero liberi di credere e di non credere, rispettati

per le proprie idee. Vorrei un mondo dove anche i luoghi difficili siano aperti alla speranza. Dove il carcere, per esempio, possa essere una fabbrica di galantuomini. Sì, la penso proprio così! Anche i peggiori, i persi possono cambiare. È volere la luna, sognare che anche chi sbaglia, ad un certo punto della vita possa non sbagliare più? Nella mia storia ho visto che è possibile. Tutti sbagliamo, tutti abbiamo limiti, tutti facciamo i conti con il male accovacciato nel cuore. Ma tutti abbiamo la nostalgia di cambiare. Per farlo, non abbiamo bisogno di incontrare giudizi, ma solo un silenzio carico di affetto. Per questo mi piacerebbe che le chiese fossero sempre aperte. Aperte al Cielo e alla Terra. Chiese che tutti, credenti e non credenti, possano sentire come casa propria. Case di misericordia, perché senza la misericordia, anche Dio si troverebbe solo. Una casa in cui nasca la nostalgia per le cose pulite, per la riconciliazione con sé stessi, con Dio, perché nessuno è perso per sempre.

 

Caro padre Vescovo, è partendo da questa consapevolezza che sento di parlarle a cuore aperto della Chiesa che sogno. La Chiesa che sogno ha il coraggio di guardarsi dentro, di fare i conti anche con i suoi errori. Una Chiesa che sa interrogarsi sui tanti cristiani che hanno tradito, che non hanno testimoniato, che non sono stati credibili. Una Chiesa che non ha paura di affrontare gli scandali, chiamandoli per nome, a cominciare dalla piaga degli abusi sui minori da parte di suoi sacerdoti. La Chiesa che sogno sceglie di stare senza se e senza ma dalla parte delle vittime, di vite segnate per sempre. Sceglie di trattare con severità i responsabili, fuggendo da grida al complotto o dietrologie. Si dà regole ferree, ferme e serie, soprattutto quando deve vagliare una vocazione.

La Chiesa che sogno sceglie la verità e la trasparenza sempre, perché non conosce il segreto, se non quello evangelico della mano destra che non sa cosa fa la mano sinistra. Nella Chiesa che sogno non c’è spazio per nessun gruppo di potere, per nessuna lobby, magari basata su orientamenti sessuali. Siamo tutti chiamati, indipendentemente dalla nostra condizione, a vivere lo spirito delle Beatitudini. Siamo persone, siamo peccatori, ma – come dice papa Francesco – guai se diventiamo dei corrotti!

Gli scandali offuscano il volto della Chiesa, anche di chi, sacerdote, religioso e laico, ama perdutamente l’incontro con Gesù e lo vive nel servizio, nella preghiera, nel silenzio. Senza sosta. Solo una Chiesa così può far risplendere la sua bellezza, il fiume di santità che ha fatto germogliare lungo i secoli Francesco, Ignazio, dom Luciano Mendes de Almeida, Madre Teresa di Calcutta e tutti gli esempi nascosti di vita cristiana che sono in mezzo a noi. Sono convinto che la Chiesa debba tirare fuori ancora il suo meglio. Non deve inventarsi nulla, perché è tutto dentro il Vangelo, in pagine dove semplicità e prudenza vivono insieme, dove non esiste la logica delle cose fatte a fin di bene, ma solo il Bene. Dove i gradi non sono mai ruoli di potere o fonte di arricchimento, ma semplici impegni di servizio. Il mondo ha bisogno di questa semplicità, di questa trasparenza. Il nostro è un mondo dove si continua a uccidere e a morire di fame, dove alcuni Paesi sono arrivati a riconoscere addirittura l’eutanasia ai bambini, dove sembra quasi politicamente scorretto parlare di padri e di madri, di uomini e di donne. In un mondo così, la Chiesa può e deve essere una fonte inesauribile di speranza. Non sono un sognatore! Una Chiesa così può davvero esistere!

 

Ernesto Olivero

 

 

Carissimo Ernesto,

 

la tua lettera ha suscitato in me tanta emozione e gioia. […] Tu poni con onestà e verità il dito nelle piaghe che non mancano, ma le ungi con l’olio della carità e della speranza, per cui la loro gravità si attutisce e a poco a poco può sempre guarire. […]

 

Tu sogni una Chiesa «scalza» perché povera, umile e misericordiosa, che malgrado tante difficoltà e resistenze consideri vicina e talmente possibile che la stai realizzando in prima persona, senza ostentazione e reclame, ma nel silenzio dei fatti di Vangelo che scandiscono le tue giornate e quelle della tua comunità e degli amici che non resistono alla tentazione di stare lontano dall’Arsenale. Sogni e agisci di conseguenza, per realizzare quanto hai sognato. Tu sai che la Bibbia e la vita di grandi santi è piena di sogni e le persone che hanno compiuto le più grandi imprese spirituali, umane e anche sociali hanno sognato i sogni di Dio stesso. Penso a Giuseppe figlio di Giacobbe, a Giuseppe sposo di Maria vergine e padre putativo di Gesù, a Paolo che da un sogno è stato condotto ad evangelizzare l’Europa… al nostro santo Giovanni Bosco, i cui sogni gli hanno rivelato ciò che doveva fare e dire…

 

Sì, Dio si serve dei sogni per indicare la sua volontà e dare, a creature deboli e povere, la forza di compiere cose meravigliose e uniche. Ma queste persone hanno sempre sognato in grande, rispetto alle risorse che avevano, perché erano innamorate di Dio e niente avrebbero fatto di diverso da ciò che Dio suggeriva loro nel silenzio del cuore. I tuoi sogni che manifesti in questo libro si sono di fatto avverati in tutti questi anni e, ne sono certo, si avvereranno anche gli altri che porti nel cuore, perché già ora ne possiamo vedere i segni concreti da quanto si sta facendo nell’Arsenale di Torino e in tutti gli altri sparsi sulla terra.

[…]

«Non è indicando il buio che si espande la luce, non è puntando il dito che si espande l’amore»: è questo che dici nel libro. Lo sento molto vero, insieme a quanto aggiungi subito dopo: «La via d’uscita è una sola, la conversione». Tutti ne abbiamo bisogno. Allora la Chiesa risplenderà con quella luce riflessa del suo Signore che le è stata data e la gente, i poveri e i giovani anzitutto torneranno a innamorarsi della Chiesa, stimandola e seguendola come dolce madre che li accoglie nel suo grembo e asciuga le loro lacrime di pentimento e di gioia insieme.

[…]

Nella tua lettera tu sottolinei giustamente che nel nostro mondo «si continua a uccidere e a morire di fame, dove alcuni Paesi sono arrivati addirittura a riconoscere l’eutanasia ai bambini, dove sembra quasi politicamente scorretto parlare di padri e di madri, di uomini e di donne». E concludi con una luce che illumina questo buio, dicendo: «In un mondo così, la Chiesa può essere una fonte inesauribile di speranza. Non sono un sognatore! Una Chiesa così può davvero esistere!». Sì, credo anch’io che possa esistere e già esiste e si sta manifestando con tutta la sua forza spirituale e morale.

Per questo ti invito a dedicare questo libro a papa Francesco che, sono certo, quando glielo consegneremo e lo leggerà, renderà grazie al Signore e benedirà il Sermig con gioia e riconoscenza.

Ti ringrazio, ti saluto e benedico tutti di cuore.

 

    @ Cesare vescovo, padre e amico   

Torino, 17 febbraio 2014


 

INTRODUZIONE

 

Diventeremo una nazione atea?

 

Nell’arco di vent’anni potremmo diventare una nazione atea. Molte chiese forse saranno chiuse, altre diventeranno un museo, altre ancora delle attività commerciali. A meno che…

Mi porto dentro il sogno di una parrocchia ideale, composta però da uomini e donne in carne e ossa, visibili. Non da angeli invisibili. La mia parrocchia ideale è dedicata a Santa Maria dell’Incontro. I musulmani che vi abitano continuano a essere musulmani, buoni musulmani, ma non hanno paura di ammettere che ne fanno parte. Lo stesso vale per gli ebrei: «Noi siamo ebrei, la Torah è la nostra legge, ma partecipiamo alle attività della parrocchia di Santa Maria dell’Incontro». Nel suo territorio c’è un club molto frequentato da atei. Anche loro non hanno problema a riconoscere che partecipano alle iniziative culturali e di solidarietà della parrocchia.

Ma che succede di speciale in questa parrocchia che riesce a mettere insieme persone così diverse per cultura e religione? Anzitutto è aperta 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, 366 nell’anno bisestile.

A qualsiasi ora se tu entri in chiesa e hai bisogno di stare in silenzio per rinfrancarti l’anima e lo spirito, nessuno ti caccia via, puoi starci il tempo che vuoi. Se invece hai bisogno di approfondire un argomento, di chiedere un consiglio, di esporre un tuo problema trovi sempre qualcuno che sta con te, che non te la canta, ma ti ascolta senza tirare fuori aria fritta. Nella parrocchia che ho in mente e nel cuore quando in una famiglia, qualsiasi famiglia, un uomo, una donna, si ammalano o vivono l’esperienza della disabilità, soprattutto in forme gravi, immediatamente il tam-tam della solidarietà attiva un volontario preparato, serio e discreto che va a far loro visita, si informa e prepara insieme un progetto di sostegno che segue una precisa linea di condotta: esserci 24 ore su 24. In questa parrocchia, nessun ammalato è lasciato solo. Nessuna famiglia è abbandonata. Se poi un ragazzo – cristiano, musulmano, ebreo, credente o non credente, un figlio di quel territorio insomma – combina qualche guaio, immediatamente il servizio di solidarietà si attiva e va a trovarlo in carcere. «Senti amico, – dovrebbe sentirsi dire – se vuoi, possiamo vivere insieme questo tempo di reclusione venendoti a trovare periodicamente. Sappi che quando uscirai ti aiuteremo a reinserirti, a trovare un lavoro. Una volta fuori, non sarai abbandonato».

Nella parrocchia Santa Maria dell’Incontro c’è un gruppo culturale che si è inventato un’università. Ci sono corsi su qualsiasi argomento, così interessanti che la gente preferisce non guardare la televisione. C’è un grande oratorio dove i bambini, i ragazzi, i giovani possono fare sport in modo serio, dove si insegna chi è Dio e chi è l’uomo, dove fin da piccoli si impara che il corpo ha tante funzioni, dall’intelligenza alla sessualità, che ti consentono di crescere nel modo migliore.

C’è un catechismo permanente che dura tutta la vita, uno strumento che aiuta a saper dire dei sì e dei no, a capire cosa è bene e cosa è male; una formazione che spinge giovani e adulti a entrare in politica con spirito di servizio per fare gli affari degli altri e non i propri. C’è una cultura che considera una ricchezza, non una differenza, essere bianchi e neri, del Nord e del Sud, donne o uomini. In questa parrocchia, tutti devolvono spontaneamente una percentuale del loro stipendio. Nessuno è obbligato, ma, meraviglia delle meraviglie, lo fanno tutti, credenti e non credenti, perché vogliono sostenere un’opera che serve a tutti i componenti della comunità.

In questa parrocchia ogni giorno c’è un miracolo: nessuno muore abbandonato, nessuno dorme per strada. Il disabile non è un diversamente abile, ma è pienamente uomo o donna e dà l’opportunità a chi vuol correre di capire che la fretta non è buona consigliera, che sui marciapiedi, sul tram o dove ci sono gradini, si può salire tutti con uno scivolo, senza umiliare chi sarebbe costretto a farlo comunque. Con questa scuola di vita si può affrontare meglio la vita.

Sento che la parrocchia che ho in mente fa parte del sogno di Dio. Chiunque di noi la può costruire, ma deve crederci. Questa parrocchia non è utopia perché c’è comunione fra tutti, tutti sono responsabili e i sacerdoti, guide spirituali della comunità, non sono schiacciati dalle tante cose da fare. Uno dei sacerdoti che ha contato di più nella mia vita per il suo amore a Dio, per il suo volto raggiante e la sua testimonianza è stato don Michele Do, uno dei primi a farmi innamorare della Chiesa. Ho fatto mia una sua frase: «La Chiesa non è una struttura che si deve aggiornare, ma una Presenza a cui convertirsi». Gesù è venuto a servire, non per essere servito. La vera rivoluzione, a partire dal seminario, è questa: servire, servire, servire. Più in alto si va, più è: servire, servire, servire, perché se non si serve ci si fa servire. Il potere rende cortigiane tantissime persone. Se non ci si mette a servizio, il prestigio contagia qualsiasi palazzo, qualsiasi scelta.

Nella Chiesa non abbiamo bisogno di preparare rivoluzioni, ma di entrare in quella normalità che significa rinascere ogni giorno, riscegliere ogni giorno di stare con Gesù. Può darsi che alcuni o tanti vadano via. Gesù ha parole di vita eterna ieri, oggi e domani. Gesù non ha bisogno di aggiornamenti, è il Figlio di Dio ieri, oggi e domani e ci dà la certezza che le forze del male non prevarranno mai. Di Gesù maestro e di Gesù teologo ci si può fidare. Lui ci insegna che costruisce sulla debolezza. Ma solo sulla debolezza che cerca la grazia, sulla debolezza che cerca la verità. Al contrario, la debolezza che cerca il potere può solo fare guai e ne ha fatti già tanti. Un esempio: se la Chiesa nella sua saggezza ha stabilito che a settantacinque anni un ecclesiastico deve andare in pensione, questa regola deve essere rispettata! Si può essere santi vescovi, santi cardinali, santi parroci anche in pensione. Il potere è sempre una tentazione. Solo se è avvolto di preghiera e di servizio serve. Altrimenti, il potere – non importa se politico, economico, religioso – diventa un guaio. Per una parrocchia così, ci metto la mia faccia, la mia vita, la faccia e la vita di tanti miei amici. La faccia di tanti sacerdoti che sono tra le persone più belle in assoluto che io abbia mai incontrato. Un giorno, a un mio caro amico, un esponente politico italiano di primo piano, ho detto che gli esempi migliori li ho trovati nella Chiesa. Persone comuni, sacerdoti, gente disponibile a togliersi il pane di bocca per chi ha bisogno. Con molta sincerità, aggiungevo che non avrei mai pensato di trovare negli stessi ambienti anche gli esempi peggiori. Tuttavia, la storia si cambia con la luce, con il bene, non recriminando sul male. Mi gioco la faccia: dieci, cento, mille parrocchie come quella che ho in mente faranno scoppiare la pace nel mondo intero.

 
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