L’Alpe 19
Alpi in guerra nel Novecento
pagine 128
rancore per il nemico e amore per la montagna, difesa dai cannoni e salvezza dalle valanghe, dal vuoto, dal gelo. Paradossalmente si è combattuto nei posti più belli delle Alpi, dalle creste dell’Adamello alle pareti delle Tofane, dall’Ortles alle Cime di Lavaredo. Assurdamente si è morti in paradiso.
Tutte le guerre sono insensate, perché da una specie tecnologicamente evoluta come quella umana ci si aspetterebbero metodi più raffinati e intelligenti per dirimere i conflitti e risolvere le contese. Massacrare l’altro non è né raffinato né intelligente.
Eppure, ai confini del paradosso, c’è un tipo di guerra ancora più inutile e perversa delle altre: la guerra di montagna. Anche se la montagna, la cresta, la linea dello spartiacque sono state «promosse» nel tempo a frontiera, cesura, caposaldo simbolico delle nazioni, la guerra d’alta quota non ha mai dato risultati strategici significativi, sulle Alpi come in Karakoram. Nel senso che il sangue, i sacrifici, gli atti di fanatismo o di eroismo sono serviti poco o niente ai fini del risultato finale, e comunque sempre molto meno degli effetti devastanti delle valanghe, del gelo, della solitudine, della pazzia.
Le guerre novecentesche sulle Alpi sono una disperata conferma di questo assurdo, dalla folle occupazione del fronte orientale (1915-17), fin sopra i tremila metri di quota, alla Battaglia delle Alpi sul fronte occidentale (1940). E nemmeno la lotta di Resistenza si può dire risolta in montagna, anche se la montagna è stata il luogo ideale dove nascondersi, organizzarsi, colpire.
Per converso le guerre, l’instabilità, la chiamata alle armi, il viaggio sono state delle costanti nelle vite dei montanari, trovatisi loro malgrado a vivere su una polveriera, e sempre destinati a partire, combattere e morire per cause inventate da altri nelle città. I valligiani delle Alpi sono nati e cresciuti su quella linea paradossale e simbolica che li vorrebbe divisi dai valligiani dell’altro versante. Ma non l’hanno deciso loro. E così, suggerisce Giovanni Kezich, la guerra non è mai finita, nemmeno in tempo di pace, «con il concretizzarsi intorno al reducismo e all’associazionismo d’arma, di una vera e propria ideologia di massa, di un intero universo morale popolaresco ed efficacemente trasversale, che riesce a raccogliere, intorno all’uomo alpino, alla figura ideale dell’alpino, un coacervo complesso di valori e disvalori fattisi ormai quasi del tutto autonomi rispetto ai trascorsi bellici di riferimento».
Dalla tragedia al riscatto, la guerra è parte del patrimonio culturale alpino.
Enrico Camanni
SOMMARIO
Il confine innaturale
La connotazione novecentesca delle guerre d’alta quota corrisponde all’artificiosa ma fortunatissima teoria della «cresta di confine».
di Enrico Camanni
La Prima guerra mondiale e il paesaggio alpino orientale
Se si considera la guerra di montagna sugli effetti di lungo periodo, essa appare nella sua straordinaria complessità.
di Diego Leoni
1915-17. Il fronte dell’inverno infinito
Dalle Dolomiti all’Adamello, i combattenti sperimentano una guerra duplice, perché devono difendersi da un secondo nemico: l’inverno.
di Quinto Antonelli
Geologi in guerra sul fronte trentino
I Kriegsgeologen dell’Esercito imperiale austriaco erano geologi-militari di alto grado, chiamati in guerra ad aiutare i genieri e gli zappatori.
di Marco Avanzini e Paolo Zambotto
Asiago. Le matrigne dei recuperanti
Eserciti più potenti degli spiriti del fulmine e dell’inverno avevano portato sull’altipiano due mostri che potevano ingoiare le cime: la Chimica e la Siderurgia.
di Luca Villoresi
Giugno 1940. Non uccidere, non farsi uccidere
Diario di «guerra» nel massiccio del Monte Bianco, tra le guide di Courmayeur e Chamonix.
di Renato Chabod
La montagna ferita e l’ombra lunga delle guerre mondiali
La montagna del partigiano è diversa da quella dell’alpino della Grande Guerra, ma la simbologia è ugualmente pregnante e duratura.
di Vittorio Detassis
Paesaggi di guerra sulle Alpi occidentali italiane
È straordinario che delle opere costruite per fare la guerra ci consentano, oggi, di leggere, come direbbero i francesi, la montagnité della montagna.
di Antonio De Rossi
Verso la linea Maginot
La presenza massiccia dell’esercito ha trasformato per sempre il paesaggio e la gente delle regioni transfrontaliere delle Alpi Marittime.
di Pascal Diana
Alpini poveri cristi e buoni cristiani
Dopo la Seconda guerra mondiale l’identità alpina in chiave di barriera naturale perde di senso e gli alpini si inventano un’identità nuova.
di Marco Cuaz
Quella ritirata lunga una vita
La drammatica ritirata di Russia: una testimonianza.
di Mario Pancheri