Buongiorno Montagne Olimpiche
Good morning olympic mountains
Recensioni
- in... Libreria
Cultura e Turismo sono conciliabili? - La Valsusa
Cultura e turismo sono conciliabili? - www.provincia.torino.it
Il portale della Provincia di Torino
ENCHANTÉE, INCANTATA
a cura di Emma DovanoMontagna incantata. In francese, con una lieve variante di genere, è anche un saluto a chi per qualche motivo ci affascina, per bellezza o personalità. Enchanté: incantato. Esattamente l’effetto di stupore che ci fa la montagna. D’inverno con le sue velature trasparenti di azzurro e di grigio e bruno smorto e viola. O l’incanto quando è bella verde, verdissima a primavera o ancora quando vediamo le nuvole di nebbia a metà costa o l’effetto dell’acqua che salta violenta sulle rocce e si nebulizza e dà un’eccitazione infantile a starci sotto.
Questo è anche l’effetto che ci vuole dare Buongiorno Montagne Duemilasei Good morning mountains of 2006 il libro che la Provincia ha voluto come vetrina delle montagne dove si svolgeranno i giochi invernali. Un libro di lusso, con la prefazione del brillante Massimo Gramellini che racconta con ritagli confidenziali il suo rapporto con la montagna.
Più di centosessanta scatti d’autore ci parlano di bellezze paesaggistiche, di costumi, di tradizioni musicali e gastronomiche. Di bellezze architettoniche: i campanili a impianto romanico di Cesana, la chiesa di San Restituto, quello antico della Parrocchiale di Bardonecchia, di Susa, della parrocchia di Sauze d’Oulx; le fontane di Chiomonte e di Salbertrand.
Fotografie che parlano di pezzi di vita dipinti sui muri o su tele di iuta in bella mostra nella piazzetta di un paese: la coltivazione del grano, la preparazione del pane portato a cuocere nel fourn , il forno ancora utilizzato oggi –e non solo per i turisti- nel comune di Usseaux in alta Val Chisone. Ci sono quaranta murales in questo paese; in una borgata più su, sui muri delle case in pietra, molte del 1700, decine di meridiane dipinte, pensieri saggi e indovinelli su quel che passa e quel che bisogna sapientemente trattenere. A pagina 95 del libro un nonno autorevole dipinto su un muro della via principale di Usseaux e una bambina col costume tradizionale, nei colori turchese, nero e rouches e nastri color rosso amaranto sul cappello a cuffia, la barette bòse.
I colori fanno la montagna incantata. L’azzurro trasparente e freddo del cielo sul Forte di Fenestrelle, quando è inverno e la natura si ritrae in sé, quando i colori assumono un particolare magnetismo, diventano come profondi, lì come sopra il tempio valdese a Luserna San Giovanni; in splendide tonalità di grigio a Chiomonte, sopra i filari di viti addormentate. Un velo di tulle rosa sul bianco del Rocciamelone. Un blu esagerato sullo Chaberton, sulla Punta Sommeiller, sul monte Thabor; blu mischiato all’indaco su Pinerolo e su Susa; striato di bianco sulle cime di 3000 metri della Val Troncea, angolo incontaminato della Val Chisone, dove le pecore e le mucche pascolano e riposano belle tranquille nei prati. E ancora blu-nero-ceruleo il colore delle uve Avanà, vitigno autoctono della Val di Susa. Il verde lucido e cupo dei meli a Ramats, quello chiaro, nuovo, che evoca tranquillità a Pian dell’Alpe, ai margini del parco dell’Orsiera o a Bout du Col verso il Lago Verde. Il giallo del prato di tarassaco fiorito a Venaus. Il viola cangiante dei costumi di Oulx. Il colore rosa dell’erba serpentina fiorita sulle sponde del lago del Moncenisio o a Conca del Prà, luogo di pace -dice la didascalia della foto. Il rosso acceso delle bacche delle rose canine dipinte da Tino Aime. E l’arcobaleno pieno di colori sfumati che attraversa una cascata vicino alla splendida Abbazia della Novalesa.
Ci possiamo fantasticare sui colori, possiamo pensare che evochino dei messaggi, la cultura poi ha messo in gioco filosofie, tradizioni, fatti storici. Abbiamo come l’impressione di reagire in modo diverso a seconda della straordinaria quantità delle gradazioni dei colori, delle luci che ci stanno dentro, ogni sfumatura ci evoca cose diverse, ricordi, parole che sono fatti avvenuti proprio lì guardando quell’ombra, quella tonalità. I fotografi e gli artisti lo sanno. Per questi colori saliamo in montagna: per fare un inventario, e sapere di rimanere ancora una volta incantati. Solo per questo.
per leggere questo articolo direttamente sul portale della provincia: www.provincia.torino.it
Estratti
Dall'introduzione di Massimo Gramellini
Esistono almeno dieci buone ragioni per innamorarsi delle montagne di Torino, scenario dei Giochi Olimpici Invernali del 2006. In realtà sarebbero molte di più, perché la natura è stata prodiga con questo spicchio di paradiso caduto fra la Francia e l’Italia, sagomato da valli severamente dolci e abitato da gente fiera, solida, forse un po’ triste per eccesso di realismo, ma in possesso di risorse caratteriali abbastanza uniche («abbastanza» è una parola che risuona spesso fra le loro labbra, poco inclini agli entusiasmi come alle disperazioni superficiali). Naturalmente le Dieci Ragioni non sono le stesse per tutti, ed è lì il bello: che ognuno potrà trovarvi le sue. Qui di seguito elencherò quelle che mi si sono depositate nel cuore attraverso numerose e complesse frequentazioni.
1. Salire a Torino sul tempietto della Mole Antonelliana, o sulla vedetta alpina del Museo della Montagna al Monte dei Cappuccini: tirare una lunga boccata d’aria e guardare «la linea del cielo» di fronte a sé.
Nel primo caso l’anima si presenta all’incontro già massaggiata dal viaggio in ascensore attraverso il Museo verticale del Cinema. Nel secondo, suggerisco di predisporsi con una capatina preventiva presso il noto distributore di farinata che opera sul lungo Po, dalle parti della Gran Madre. Perché ammirare le guglie del Monviso e del Rocciamelone dai Cappuccini in un pomeriggio di cielo terso è comunque un’emozione. Ma ammirarli con un cartoccio unto fra le mani e il sapore di quella farinata fra i denti, rasenta il misticismo.
2. Imboccare la strada che conduce alla Valle di Susa e, proprio quando stai pensando ad altro, sentirti all’improvviso osservato: guardare in alto, a sinistra, e scorgere la Sacra di San Michele.
Adesso so che a fondarla furono i Longobardi, oltre mille anni fa. Che il monte sulla cui cima si espande a fatica è il Pirchiriano. Che la gradinata da film thriller che ho dovuto affrontare di corsa per giungere con una sola ora di ritardo al matrimonio di cui ero testimone si chiama, giustamente, «scalone dei morti». E che l’abbazia custodiva una biblioteca talmente straordinaria che da quando Umberto Eco ha scritto «Il Nome della Rosa» tutti immaginano che la storia di fra Guglielmo da Baskerville sia successa lì. Da piccolo, però, non possedevo ancora nessuna di queste informazioni. Eppure ogni volta che ci passavo sotto per andare a sciare, la vista della Sacra mi trasmetteva un senso di favola seria, l’anticipo di qualcosa di soprannaturale.