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Bastoni Materia Arte Potere

Bastoni Materia Arte Potere

Cartonato con sovraccoperta plastificata a colori, formato cm cm 21,5x28, pagine 322 con più di 500 bastoni e circa 100 particolari di provenienza pubblica e privata

Il volume è uscito in contemporanea con l'omonima mostra.

ISBN 978-88-8068-310-0
Disponibile in libreria

 

Recensioni

  • Casa Country
    Bastoni Materia Arte Potere
  • Avvenire
    Bastoni, da Mosè a Fred Astaire
    Il potere e la gloria; ma anche la debolezza. Lo scettro e la stampella. A seconda che sia usato come gamba supplementare oppure quale protesi della mano, c’è un oggetto che sa piegare da secoli la sua impettita rigidità a una simbolica dai significati addirittura opposti. È arma e sostegno, una difesa come pure una minaccia; l’appoggio indispensabile all’umile pellegrino e il gadget fastoso del comando per i re. Non è affatto un oggetto banale, il bastone, a dispetto del collezionismo piccolo-borghese che da qualche tempo ostenta nei salotti la sua impugnatura, preferibilmente d’avorio. E lo dimostra ora la sontuosa mostra allestita a Siena fino al 26 agosto: una rassegna che farà passare ai superficiali la voglia di credere che un bastone sia soltanto un pezzo di legno (classici l’ebano e la malacca, quest’ultima tanto più preziosa in quanto non solo doveva essere importata fin d’Indonesia, ma anche perché si tratta di un’essenza che – come il bambù – cresce a stadi e dunque è difficile da trovare nella lunghezza giusta per un’asta da passeggio). Tra i 500 bastoni esposti a Siena, infatti, ce ne sono di vetro e di bakelite, di osso di balena e di gomma, in metallo (vedi i pastorali vescovili in argento) e persino – pubblicitari – in filo spinato ritorto; una verga è costituita da bossoli di cartucce in ottone incastrati l’uno nell’altro (probabilmente un souvenir per militari), una bacchetta americana è composta da leggerissimi tutoli (il «torsolo » della pannocchia) e un’altra di aculei d’istrice intrecciati, una stecca è rivestita in pelle di serpente e un’altra con l’epidermide di razza marina; per finire col bastoncello composto da vertebre di serpente cobra! E questo per tacer dei pomoli, dove ovviamente si sbizzarrisce – nei materiali, nelle forme e nei decori – la creatività di artigiani anche di gran nome (uno tra tutti: Fabergé). Ma la meraviglia non si placa delle preziosità formali, del resto attese in un oggetto che – da strumento d’appoggio e di lavoro – non tardò a tramutarsi in status symbol del ceto e del potere. Se gli stocchi «animati» (ovvero con l’anima d’acciaio, dall’apparenza innocua ma snudabili al pari di spade) erano già noti da secoli, fu l’Ottocento a lanciare i bastoni cosiddetti «a sistema» o «accessoriati»: stravaganti borselli portatutto (ne sono stati catalogati per oltre 500 funzioni) di volta in volta capaci di celare al loro smilzo interno il necessaire per fumare la pipa o quello per andare a pesca, il portacipria o un ventaglio da signora, colori e tavolozza per un estemporaneo pittore en plein air o strumenti musicali a fiato – senza escludere i violini. Nella rassegna senese ci si può incuriosire davanti a temibili stiletti del Cinquecento e mazze spaccaossa ottocentesche e addirittura stecche con pomolo a forma di cannoncino (funzionante!), così come di fronte a più miti utensili double face per spillare il vino e saggiare i formaggi, per misurare la taglia delle scarpe o la lunghezza delle pezze di stoffa o l’altezza dei cavalli al mercato, per raccogliere frutta dagli alberi e ammirare il panorama tramite cannocchiale monocolo e magari giocare a dama (scacchiera in seta arrotolata) e infine farsi un goccetto in compagnia – vedi canna con servizio completo da cognac – durante una passeggiata, finendo magari a riposare un poco sugli estrosi alpenstock-sedia... Che paradiso per i collezionisti di bastoni (il cui antenato pare fu il faraone Tutankhamon: nella sua piramide furono trovati quantità di scettri e bordoni, anche perché gli Egizi conoscevano 8 tipi codificati di aste) fu davvero il XIX secolo; quando – scrive l’antiquario Michael German nella prefazione all’eccellente catalogo Priuli & Verlucca – «gli uomini smisero di portare la spada e cominciarono a portare il bastone»; all’epoca (ma forse lo scenario risulta più anglosassone che latino) «nessuna persona correttamente vestita, né gentiluomo né dama, usciva senza il bastone adeguato». Così, a fine Ottocento, Londra sfoggiava non meno di 60 negozi specializzati nella vendita di canne da passeggio, con un florido movimento di import-export che coinvolgeva tra l’altro l’Italia – specialmente per i manici in porcellana. Di lì a poco, però, gli anni Venti del Liberty avrebbero registrato la morte sociale di un utensile attestato almeno dal Quaternario, usato in forme diverse da Mosé e da Edipo, passato fra mano a san Giuseppe e a Little John, a Charlot e a Fred Astaire. Colpa – chissà – della borsa e dell’auto, il cui affermarsi rende scomodo qualsiasi impiccio e inutile ogni sostegno. (Roberto Beretta)

  • La Domenica di Repubblica
    Bastoni, la vanità al potere

    Piuttosto che andare in giro col soccorrevole bastone, ci sono anziani del tipo giovanile che preferiscono muoversi a disagio, barcollare e rischiare di ritrovarsi a terra illividiti, come se l’utilissimo attrezzo, col suo aspetto vagamente arcigno, esponesse al pubblico ludibrio un eccesso di decrepitezza. Solo i più spiritosi se ne servono in modo civettuolo e impertinente, attirando signorine illanguidite da tanta sapiente disinvoltura, oppure lo usano per scacciare con imperioso fastidio chiunque gli si avvicini di non gradito, con gesti degni di monsieur Hulot verso la sua signora. Non si conosce il percorso che ha portato il bastone a finire così, temuto, rifiutato, esorcizzato dai più, privato della sua autorevolezza e grazia, frivolezza e forza, utilità, sacralità e magia: per diventare odioso simbolo di vecchiaia e infermità che appunto i vegliardi quasi sempre rifiutano, certi di tenere per sé il segreto della loro fragilità e paura. È probabile che anche gli accaniti collezionisti di questo antico oggetto dai mille usi, le mille simbologie e le mille bellezze, che li conservano gelosamente a decine in teche impenetrabili, esibendoli raramente a studiosi, o imprestandoli orgogliosamente a qualche mostra degna di loro (come questa molto ricca nel complesso museale di Santa Maria della Scala a Siena, sino al 26 agosto), mai ne userebbero uno per quello che è stato ed è: una comoda estensione del corpo umano, uno dei primi utensili forniti dalla natura, indispensabili a partire dagli ominidi, diventato via via un segno di minaccia, difesa e comando, un emblema di sacralità o laicità, l’utile arma per liberare il cammino infestato da rovi o escrementi e per tenere a distanza gli altri, l’attrezzo per radunare il gregge, l’accessorio di massima eleganza e nobiltà, il simbolo fallico per eccellenza (non per niente il pene viene chiamato anche verga) ma anche l’ironico accenno a impalpabili erotismi come nei romanzi e dipinti di Klossowski. E chiamandosi bastone, il nodoso pezzo di legno o la verga sottile, per bastonare e sferzare, in passato, servi disubbidienti, popolino ribelle, (come Sant’Ambrogio coi peccatori milanesi), scolari pigri (la bacchetta pedagoga fa parte dell’iconografia di San Filippo Neri), e naturalmente mogli fastidiose. Queste ultime talvolta ancora adesso vengono bastonate pure nel femminilizzato Occidente (anche non pochi mariti però), mentre nelle scuole tedesche e inglesi lo Stockmeister e il Cane Master hanno dovuto abbandonare per legge la loro specialità di punitori corporali dei piccini, i primi nel 1923 e i secondi nel 1948. Invece Quirino Conti, quando lavora come scenografo e costumista d’opera, privilegia il bastone quale mirabile accessorio di imperio e seduzione, che dà disinvoltura anche al più impacciato dei cantanti, e per sicurezza li ha messi in mano a un Falstaff e a un signor Ford verdiano in stile Vermeer a Ginevra, ad uno Scarpia ancien regime della Tosca pucciniana a Pisa, e un paio d’anni fa all’opera di Roma al grasso Bartolo delle Nozze di Figaromozartiane, su ispirazione dei Codini romani dopo la battaglia di Marengo (1800). Però ne constata il decesso. «Il funerale del bastone l’ha decretato Charlot che deambula incerto in bombetta e marsina, con quell’anacronistico bastoncino di bambù che suscita comicità e malinconia. Ma la vera fine si è conclusa quando la tarda età ha cominciato a perdere autorevolezza, la vecchiaia è diventata onta e vergogna, e i giovani hanno smesso di portare il bastone che non aveva più il potere di conferire anche a loro la dignità e l’autorità degli anziani, come invece usavano Gogol o Stendhal prima della celebrità». Nel mondo internazionale della moda si sa che la massima star è l’italiana Anna Piaggi, il solo giornalista cui il Victoria & Albert Museum di Londra abbia dedicato una mostra, oltre tutto di grande successo. Nessuno ricorda di averla mai vista senza un suo prezioso bastoncino, con testolina di cane dall’occhio pesto, con faccina di Becassine, storica bambola francese, laccato rosso o blu, per piccini Ottocento, da dressage, oppure di nerbo di bue, di quelli usati per illividire i sederini di orfanelli o collegiali. Ne ha non sa quanti, come non sa quanti cappelli o abiti ha, raccolti in vari magazzini, ma è una collezionista particolare: non le importa del loro valore o del loro curriculum, non li utilizza per la loro funzione di appoggio ma le servono per creare ogni volta una sua storia. «Sono un’astrazione, come il ventaglio, o la borsa, completano in modo leggero una composizione, sono il pretesto per un’aneddotica, mi danno un senso di rassicurazione ed equilibrio nell’atteggiamento ». Racconta come una volta, a Parigi, correndo all’aeroporto direttamente dall’ultima sfilata senza avere il tempo di cambiarsi, mandò in tilt il metal detector che fece un tal frastuono da far accorrere tutta la polizia del Charles De Gaulle: «Indossavo una gonna fatta tutta di cerniere lampo, e le vollero aprire ad una ad una, pensando che nascondessero chissà quale crimine. Come accessorio quella volta avevo scelto un Alpenstock, con l’anima d’acciaio allungabile. Sospettosissimi, me lo requisirono e all’arrivo a Milano tra i bagagli ne ricuperai solo un pezzo ». Bastoni, Materia Arte Potere si intitolano sia la Mostra di Siena che il bel libro che l’accompagna, a cura di Aldo Gerardi, Renzo Traballesi, Alberto Zina. I 515 bastoni, uno più stupefacente dell’altro, arrivano da vari musei e da collezioni private e data la diversità e ricchezza delle loro funzioni, epoche, luoghi di provenienza, storie da raccontare, materiale, valore artistico, sono qui didatticamente divisi con la sapienza dei grandi studiosi e dei grandi amatori. Si imparano tante cose, da ignoranti, per esempio che i bastoni sono una cosa complicata, da sconvolgere i collezionisti insaziabili: infatti, partendo dalla robusta e minacciosa Clava cara ad Ercole sino alla sottile e futile Giannetta prediletta dagli elegantoni della metà del XIX secolo, possono essere mono o plurifunzionali “con sistema accessoriato”. Nel primo caso: di comando, massonici, decorativi, erotici, etnici, popolari, marini, religiosi e storico- politici. Nel secondo caso: di difesa, professionali, di utilità. L’antiquario londinese Michael German ricorda che il suo primo cliente avido di bastoni fu nel 1973 un imprenditore italiano, purtroppo deceduto a collezione appena iniziata: ma intanto l’inglese aveva capito l’importanza del nuovo ramo da commerciare, e iniziò quindi una caccia spietata ai bastoni più antichi accessibili al mercato privato, e cioè quelli di avorio e di piqué d’argento dalla metà del XVII secolo, portati come status symbol nobiliare e professionale (da medici, avvocati, ecc.). Massima studiosa del bastone, venerata dagli specialisti del settore (non pare, ma sono una moltitudine), è la signora Catherine Dike, di cui i neofiti, in seguito ad innamoramento per un bastone tedesco anni ‘20 che si trasforma in carrello portaspesa o per chi è di animo violento, quello primo ‘900 con pomolo ad ascia, devono assolutamente procurarsi almeno uno dei suoi tanti preziosi volumi, tipo Cane Curiosa, from Gun to Gadget oppure Les cannes à système, un monde fabuleux et mconnu. Per secoli, si capisce dalla mostra, il bastone è stato un oggetto esclusivamente maschile, il bastone di comando, del capotribù, del feldmaresciallo, del vescovo, del papa (il pastorale), che infiocchettandosi poi di gemme e ori diventa scettro regale, anche in mano a Napoleone imperatore in ermellino e corona, ma pure in quelle di signore regali, tipo Elisabetta I e persino II. Indietreggiando fino alla mitologia la Sfinge ci fa una pessima figura, proponendo ad Edipo di risolvere un quiz degno di Amadeus, cioè dei più scemi, e se non ci riuscirà, ma nessuno è così tonto, dovrà morire. Dunque: «Quale è l’animale che al mattino muovesi con quattro zampe, al meriggio con due e al tramonto con tre?». Ovvia risposta pronta, è l’uomo, la cui terza gamba, in vecchiaia, è naturalmente il bastone. La figuraccia della Sfinge è tale che si uccide. Non così Amadeus, per fortuna. La maggior parte dei santi, causa il gregge umano che gli formicola attorno, sono spesso forniti di verga (senza sottintesi) per tenerli insieme quali pecore, il mago, la strega e il direttore d’orchestra non mollano la bacchetta, il gioco e lo sport amano la mazza (da golf, da polo, da cricket, da baseball, anche da lippa), la stecca da biliardo, l’asta del salto, il bastone Shaolin cinese, Bruce Lee e il suo amato bastone doppio con catene: e Fred Astaire in Cappello a cilindro (1935) che balla il tip tap col suo bastoncino di cristallo attorniato da 24 ballerini che lo imitano? Si ricorda con nostalgia per i tempi ormai finiti della grande couture parigina come Christian Dior, seduto sulla sua poltrona grigia e bianca Luigi XVI, circondato da uno staff di una ventina di assistenti muti e adoranti, indicasse a distanza, con un suo bastone, sul corpo-oggetto della sua modella, la pence, il volant, la piega, la cucitura da correggere. Il bastone voluttuario, inutile, cioè privato della sue vere ragioni, di sostenere e bastonare, furoreggiò dalla seconda metà del Seicento sostituendo definitivamente verso la fine del Settecento la spada, proibita per legge. Le prime dame che osarono munirsi di bastone, per pura necessità, furono le prostitute, che issate su scarpe a trampolo, non avrebbero potuto camminare senza un appoggio, o il bastone o per le più esibizioniste il Moretto in ghingheri. Ai tempi settecenteschi dell’Arcadia, non mancarono sofisticate signore che nelle vesti di bucoliche pastorelle del tipo dipinto da Watteau, osavano portare bastoncini infiocchettati per accarezzare pecorelle ossigenate e con la permanente e tener lontano spasimanti troppo campestri. Data la sua grazia sempre più futile, il bastoncino dilagò per tutto l’Ottocento persino tra i bambini, e almeno nei film in costume ottocentesco (anche nel Gattopardo) i gentiluomini in marsina entrando in case di stile pompier depositavano nelle mani di un servitore canuto e inchinato, cilindro, guanti e bastone, come per arrendersi galantemente alla padrona di casa. Mentre i vecchi film ispirati a Dickens mostrano sempre una imperiosa anziana dama dal cuore d’oro che incita il suo cocchiere ad affrettarsi spronandolo sulla schiena con la punta, acuminata, del suo bastoncino da passeggio. Fu un epoca in cui il bastone perse la testa e non solo perché sempre più prezioso di argenti, ori, avori, malacche, come racconta nel suo saggio l’antropologo Alessandro Falassi: «Un bastone poteva contenere bottiglia e bicchiere, sale e pepe, forchetta e coltello, schiaccianoci e cavatappi. Oppure accessori per caccia e pesca come canne, ami e fili, richiami per uccelli, retini da farfalle. O anche luci e lumi, picconi e piccozze, e ancora strumenti ottici, poi fotografici, strumenti musicali e più tardi radio, accessori per scrivere e dipingere, giochi vari, dal backgammon ai dadi. Nei bastoni da passeggio per le signore, spesso decorati di eleganti nastri di seta e minute passamanerie, potevano trovar posto cosmetici e profumi, sali e medicinali, ventagli e parure da cucito…». Secondo Quirino Conti, il bastone ha avuto per decenni soprattutto un compito: quello di tenere le mani impegnate, come il ventaglio, come i guanti, per conferire un atteggiamento disinvolto: oggi, dice, lo ha sostituito il cellulare, anche come simbolo penico, o di offesa e difesa. Basta guardare la pubblicità di un telefonino con il duo Dolce & Gabbana abbracciati, quest’ultimo col volto languidamente ferito dalla nuova arma di massa, Appunto l’ennesimo tipo di cellulare.
    Natalia Aspesi

  • La Stampa
    Arte di tutti i popoli in «semplici» bastoni
    Avorio, vetro, legno, ferro, argento, oro. Dipinti, incisi, intarsiati, scolpiti. Il bastone da passeggio o di necessità può essere opera d’arte. Lo è stato nei secoli, lo continua ad essere oggi. Priuli&Verlucca ha realizzato uno straordinario volume dove presenta 515 «pezzi». Per capirsi partiamo dall’ultimo proposto: «Bastone da pastore con funzione di orologio solare a meridiana. Sul pomolo piccolo foro per alloggiare bastoncino usato come gnomone ». E’ alto 90 centimetri e arriva dal Tibet. Ci sono bastoni stecca da biliardo, canna da pesca, da golfista, per raccogliere oggetti, cerbottana, con pomello che contiene dadi, quello che contiene la dama o altro per giochi erotici. E ancora c’é il bastone-sedia, qwuello microscopio, il portaborse, candela, canocchiale o ombrello, quello da tossicomane, tabacchiera o strumento musicale. I bastoni sono stati esposti a Siena e raccolti in un catalogo che la Priuli&Verlucca presto porterà in libreria.

Estratti



Molti materiali sono stati impiegati per la realizzazione dei bastoni. Sovente l’uso di un particolare materiale trova ragione d’essere in peculiari realtà socio-economiche o geografiche. In alcuni casi era richiesta una complessa lavorazione, come per il corno o per la tartaruga; in altri casi la diffusione dei bastoni era condizionata da mode nate in ambiti ristretti, come i bastoni in galuchat prodotti a Parigi durante il periodo Déco. Non meno diffusi dei materiali naturali erano quelli derivati dall’attività umana: guttaperca, carta, vetro, gomma, bakelite ne sono alcuni esempi. Fin dall’antichità bastoni variamente colorati e decorati hanno sempre costituito insegne di comando e attributi di dignità o cariche tanto civili, quanto militari ed ecclesiastiche. Il bastone, segno forte di potere e autorità, accompagna il cammino dell’uomo e resterà nei secoli legato prima di tutto al suo significato originario di «ciò che sostiene», divenendo poi segno e rappresentazione dello status e del ruolo di chi lo avrebbe portato.
Il volume è stato curato da Aldo Gerardi, Renzo Traballesi e Alberto Zina, tre col­lezionisti che da circa vent’anni raccolgono bastoni in Italia e all’estero. La passione col­lezionistica nel tempo ha sviluppato interessi e curiosità di taglio antropologico ed etnografico, generando una selezione di oggetti che ne esalta simbolicamente materia, arte e potere. Contiene inoltre saggi introduttivi di Paolo Fabbri, Alessandro Falassi e del noto antiquario londinese Michael German.

La prima protesi
Paolo Fabbri
Il bastone è per antonomasia la prima estensione del corpo. È l’operatore di contatto tra il corpo, esteso da questa protesi, il mondo naturale e il corpo sociale degli altri uomini, dotati anch’essi eventualmente, di bastone. La sua morfologia diversa e complicata, è dettata dalle sue funzioni e finzioni, dagli usi pratici e simbolici. La conformazione del bastone è dettata dal contatto con la mano che lo regge per il manico; oppure dal puntale con cui l’attrezzo si congiunge agli elementi naturali o artificiali, gli animali e gli uomini. Il bastone, che può essere scagliato, è in primo luogo la protesi estensiva, statica, di diverse parti del nostro corpo. Può essere il punto d’appoggio per il corpo intero: una terza gamba, come quella enigmatica di Edipo. Oppure il prolungamento di entrambe le gambe, come i trampoli, usati dagli acrobati ma anche dai contadini del nord della Francia, dove servono per camminare per vasti terreni paludosi. E come dimenticare che le aste dei trampoli sono state per Proust la metafora del tempo trascorso: camminiamo tutti sui trampoli della nostra memoria fatta di tempo perduto e ritrovato! Ma il bastone può essere anche la protesi di un braccio, del polso e della mano. Nel caso del polso e del braccio bisogna distinguere però tra l’imbracciatura – quando il bastone prosegue per così dire il braccio e lo estende fino al contatto con le cose e con gli altri – oppure l’impugnatura quando il bastone è compreso nel pugno che lo serra. Cartesio e altri filosofi hanno lungamente riflettuto sulla visione tattile del cieco. Il bastone del non vedente è come un prolungamento di tutto il braccio: il cieco sente quindi le cose a partire dalla punta del bastone, transitivamente. Se appena allentiamo la presa del bastone, la mano avverte invece, riflessivamente, non la punta che tocca il mondo, ma il suo manico. Ecco perché il pomo, così come il puntale, sono spesso la parte più elaborata e riccamente decorata del bastone che si presenta quindi come un dispositivo comunicativo: l’emittente che tiene in mano il pomo e il ricevente che viene toccato dalla punta sono entrambi valorizzati da questo atto.

IL BASTONE ELEMENTALE
Il contatto con il mondo che il bastone instaura, si effettua in primo luogo con gli elementi che lo compongono: con l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco, che pure è il naturale nemico del bastone almeno nella sua prima versione in legno. Il bastone serve come operatore deittico, utensile per mostrare, indicatore semiotico. Il bastone dell’aruspice per esempio traccia spazi nell’aria, ripartisce il cielo in modo da segnalare il senso e il destino di un’azione. Si suddivide il cielo, poi, quando gli uccelli attraversano una certa zona così delimitata, diventeranno segni di buono o cattivo augurio. Ma il bastone serve anche per l’acqua, non solo per navigare – in laguna servono le pertiche –, ma soprattutto per indicare e rinvenire falde d’acqua. Penso ad esempio alla bacchetta del rabdomante, attratta dal liquido sotto la terra. C’è poi il bastone dell’agrimensore, che traccia i confini sulla terra e commisura i suoi spazi. Il movimento dell’agrimensore sulla crosta terrestre, ignora le differenze superficiali del paesaggio naturale, per tracciare linee che dipendono dalla costruzione di rapporti fra gli uomini. Per quanto riguarda il fuoco, non bisogna dimenticare che nella mitologia e nella tecnica il bastone può esserne un contenitore. È il caso di Prometeo che fugge dal mondo degli dèi, portando dentro un bastone cavo il fuoco, dono per gli uomini. Dall’altra parte la possibilità di sputare fuoco con la cosiddetta canna tonante è la proprietà dell’arma da fuoco fucile o il cannone.

MORFOLOGIE
Il bastone ha una morfologia complessa di cui Storia e Antropologia sono gli attenti testimoni, una varietà di forme legata alla molteplicità delle funzioni e all’evoluzione di queste funzioni. Come tutte le protesi, anche i bastoni si rendono autonomi rispetto alla prima configurazione e mezzo per inventare nuove funzioni simboliche e pratiche. Si potrebbe fare una morfologia rapida dei bastoni a seconda se siano lunghi o corti, come il palo e la bacchetta del mago o del direttore d’orchestra; diritti come la lancia e la freccia o ricurvi, come quelli del pellegrino o le pastorali del vescovo, oppure ingegnosamente piegati come i boomerang; rigidi o flessibili, come la pertica e la verga o il vincastro e la giannetta, oppure snodati come il bastone «correggiato». Possono essere naturali e nodosi o lavorati – con possibili ritorni: a volte il bastone intagliato e decorato, se piantato, ridiventa naturale e rifiorisce. Il bastone può essere compatto o cavo – abbiamo detto di Prometeo – e allora è il contenitore in generale di molte proprietà magiche e tecnologiche. Nei pomi dei bastoni seicenteschi, si depositavano le essenze contro la peste; svitando il proprio bastone si annusavano gli odori destinati a tenere lontani i miasmi ritenuti cause delle epidemie. C’è il bastone animato che nasconde la spada e quello che esprime ed esibisce il valore semiotico ed artistico diventando asta di labaro, orifiamma o bandiera o il supporto di emblemi scolpiti.

Le tre funzioni
Senza numero sono le funzioni sociali della protesi-bastone, dalle più antiche culture come quella egiziana fino al proliferare della mode ottocentesche, ma almeno per la nostra cultura potremmo suddividere e riorganizzare la massa molteplice dei singoli bastoni in alcune grandi funzioni interdefinite dell’immaginario collettivo. (Evidentemente esistono anche bastoni che operano a cavallo fra queste funzioni, ma qualunque tassonomia, come diceva Claude Lévi-Strauss, è sempre un vantaggio sul caos). Nella cultura occidentale, l’articolazione delle funzioni ideologiche – enunciata da Georges Dumézil, che ne è lo scopritore – è tripartita: la prima funzione è politico-religiosa, di giustizia e di verità terrena e sovrumana; la seconda è quella militare, con le sue due facce di violenza cieca e di calcolata strategia; e la terza funzione articola infine la fecondità nei suoi aspetti agricoli e mercantili, secondo la stanzialità e la mobilità.
Ripartiamo così la multiforme massa dei bastoni.
Per quanto riguarda la prima funzione sarebbe semplice, ma infinito, l’elenco degli scettri regali e dei pastorali religiosi che segnalano la verità, dettano l’imperio e impartiscono la giustizia.
Per quanto riguarda la seconda funzione bisogna distinguere il bastone che è simbolo della forza violenta – la clava erculea – e che si oppone a quella tattica e articolata. Qui il bastone rappresenta un vigore più brutale rispetto alle altre armi, come la spada e l’arco. Lo dice assai bene il suo lessico: la mazza, portata dal mazziere è fatta per le mazziate; la mazza ammazza, mentre la spada (o la lingua!) uccidono. Il bastone di seconda funzione ha parole proprie di violenza scatenata: il colpo, la botta, diversi dalla stoccata; il bastone pesta, non tira di scherma, non mette in guardia; è usato per la percossa, l’acciaccamento, l’ammaccatura. Infatti, quando si vieta il porto della spada riappare come canna o frustino e la lama si nasconde nel bastone animato. Il bastone inoltre è destinato non ai propri pari, è portatore di una violenza punitiva che si può esercitare verso chi socialmente non è al nostro livello. Voltaire ricordava che per avere un giorno ironizzato su un principe della corte, subì una bastonatura che sentiva ancora amaramente nelle proprie ossa.
La terza funzione è, come si è detto, quella agricola e mercantile e vi corrispondono due grandi tipi di bastoni: quello stanziale e quello del nomade. Il bastone del contadino che serve a bacchiare il frutto, le noci e le olive, a sostenere le vigne e il pollaio e il bastone nomade, come il vincastro del pastore e del mandriano. C’è quindi il bastone stanziale dello spazio striato, suddiviso e quello che guida nello spazio liscio del pastore o del pellegrino – il bordone che sta tipicamente in mano a San Rocco, che ritroviamo in versione moderna, specialmente ottocentesca, nel bastone da passeggio del dandy: dalla cultura romantica in poi ritrova nella grande metropoli uno spazio liscio di nomadismo.
A riprova di questa distinzione c’è l’esempio singolare di un bastone da nomade, in una sua particolare versione legata all’acqua, il remo, che viene scambiato per un bastone stanziale. Quando Ulisse scende all’Inferno e chiede a Tiresia il proprio destino, il profeta gli annuncia, dopo il ritorno ad Itaca, molti altri viaggi e che la sua vita nomade durerà fino al giorno in cui qualcuno scambierà il remo, che è il suo bastone di pellegrino acquatico, per una stanziale ventola da grano. Ed è qui che finirà la sua odissea.

Rompere i bastoni
Concluderemo con l’idea che l’uomo non ha soltanto fabbricato bastoni, ma li ha anche spezzati. Gli uomini non costruiscono soltanto protesi per fare o impedire (si mettono anche i bastoni tra le ruote) ma le distrugge; c’è anche un luddismo dello strumento bastone. Questa prima protesi che incorpora ed estende competenze pratiche e tecniche comunicative, come ogni oggetto di senso può essere costruito e trasmesso, elaborato ma anche distrutto. Penso a certe immagini dei cassoni matrimoniali toscani del Quattrocento che rappresentano lo Sposalizio della Vergine. Si vede san Giuseppe, scelto fra tutti gli altri pretendenti, con il suo bastone che rifiorisce in segno di fecondità (Giuseppe è un santo di terza funzione), mentre tutti gli altri pretendenti spezzano le loro verghe. Fuori da ogni «psicanalese», ricordiamo che si possono rompere tutti i bastoni di cui abbiamo elencato la gerarchia delle funzioni: si può infrangere lo scettro, rompere il bastone sulle spalle di qualcuno, gettare i pezzi del bordone alle ortiche. Oppure si può lasciare il mondo striato per uno spazio più liscio. In francese per caratterizzare un andare senza meta prefissata, un muoversi nomade nel pensare e nel parlare, senza fini prestabiliti e in un mondo aperto, si dice infatti à bâtons rompus.
 
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