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Arte in Piemonte  vol. V   L’Ottocento

Arte in Piemonte  vol. V   L’Ottocento

Cartonato con sovraccoperta a colori plastificata, inserito in prestigioso cofanetto di fattura manuale, formato cm 23,5x32, pagine 200 con oltre 220 immagini a colori, anche a piena e doppia pagina
ISBN 978-88-8068-343-8
Disponibile in libreria

 

Estratti



Introduzione

«Vestiti all’uso antico, con la cipria, il codino e certi cappelli alla Federico II, tutti insieme erano figure abbastanza buffe». L’annotazione, scanzonata e irriverente, è di Massimo d’Azeglio, allora giovanissimo rampollo di una delle antiche dinastie della nobiltà piemontese, poi uomo politico ma anche raffinato pittore e letterato, che il 20 maggio del 1814 aveva assistito al corteo per il rientro a Torino di Vittorio Emanuele I, re di Sardegna, dopo il lungo esilio al quale era stato costretto da Napoleone. Parrucche incipriate e codino, all’uso del buon tempo antico, sono per la corte sabauda il segno della volontà di restaurazione dell’ancien régime, di cancellare dalla storia, come se non fosse mai esistita, l’età napoleonica e di riassorbire in qualche modo gli stravolgimenti sociali del devastante uragano, avviato a fine Settecento dalla Rrivoluzione Francese, che in pochi decenni ha destabilizzato e spazzato via antiche istituzioni, leggi, costumi e tradizioni un tempo ritenute intoccabili e intramontabili. Il disegno politico sabaudo di restaurazione, tuttavia, si rivela ben presto ideologicamente utopistico e storicamente velleitario. Forse lo stesso re sabaudo se ne rende conto, quel 20 maggio del 1814, quando il suo corteo di parrucche incipriate e di codini imbocca il nuovo ponte in pietra fatto costruire sul Po dall’odiato Napoleone. La lunga stagione dell’assolutismo, rappresentata dal Barocco trionfante, è definitivamente tramontata. Nulla è più come prima, nonostante l’iniziale volontà di ripicca della corte sabauda. Vi sono nuove forze emergenti – il popolo nel suo insieme e, soprattutto, la borghesia e la nascente classe imprenditoriale – con le quali occorre confrontarsi. In realtà, sotto la spinta di stimoli diversi e quasi anticipando diffuse sensazioni di un imminente, profondo rinnovamento sociale e culturale, già nella seconda metà del Settecento le espressioni artistiche avevano via via abbandonato l’esaltazione barocca, avviandosi alla riscoperta e alla riproposizione degli ideali artistici del Classicismo. Tuttavia, anche il Neoclassicismo, nelle sue multiformi declinazioni, rimane in fondo sostanzialmente un’arte elitaria, al servizio dei nuovi poteri, compresi quelli della Restaurazione, come sarà a Torino per il tempio della Gran Madre. Sarà proprio la borghesia a favorire, in un certo senso, il lento declino del Neoclassicismo. Finiti i tempi dell’arte come rappresentazione del potere, i nuovi committenti saranno i ceti emergenti, la borghesia appunto, e gli esponenti della prima imprenditoria. Lentamente, come sempre avviene per i movimenti artistici, il Neoclassicismo si evolve nelle ispirazioni del Romanticismo e presto cede il passo – pur rimanendo sempre latente – a suggestioni che, stranamente ma non troppo, giungono dal passato. Fanno scuola e si impongono a lungo presso la corte e il suo entourage il Neogotico e il Neoromanico, si sviluppa la lunga e soffocante stagione dell’Eclettismo, nel quale convergono suggestioni artistiche assai eterogenee, si diffonde un’arte pietistica e devozionale; la pittura e la scultura inseguono sovente memorie storiche, sempre intese quale esaltazione di personaggi o di avvenimenti eroici. Dal passato si vogliono recuperare – e di questa volontà sarà alfiere re Carlo Alberto, con la sua politica culturale – non solo i valori artistici, ma anche e soprattutto quelli etici e morali. Al contempo si sognano e si immaginano, dilatandole, le conquiste del progresso e della tecnica, entrambe in forte sviluppo. È come se l’intera società, pervasa da un profondo senso di disorientamento e di insicurezza, faticasse a inventare forme nuove e autonome di espressione artistica. Soltanto sul finire del secolo – ma senza dimenticare precedenti e isolate esperienze di artisti di più forte e intensa ispirazione – grazie anche agli influssi che giungono dall’estero, si affermeranno tendenze artistiche nuove e di grande interesse, fino al rigoglio dell’Art Nouveau. Eppure, nonostante le diffuse incertezze e la fuga verso il passato, l’Ottocento si rivela un secolo straordinario, ricco di fermenti innovatori, denso di stimoli, di creatività, di ricerche e sviluppi, di balzi in avanti come non era mai avvenuto prima.
Un secolo ricco di contraddizioni, in un certo senso anche esaltanti. L’intera società si trasforma profondamente e soprattutto, nelle terre sabaude, grazie agli odiati provvedimenti napoleonici. Si pensi soltanto a che cosa hanno significato, anche per l’attività artistica e per lo sviluppo urbanistico, l’abbattimento delle vecchie strutture fortificate; la soppressione degli ordini religiosi e l’apertura al mercato dei loro colossali patrimoni fondiari e immobiliari; il divieto delle sepolture nelle chiese e nelle aree urbane e la realizzazione dei grandi cimiteri. Un secolo affascinante, l’Ottocento, anche per le sue apparenti incoerenze. Per la prima volta nella storia si dà avvio alla codificazione del valore dell’arte e della vita del passato e si pongono le basi istituzionali per la sua salvaguardia e per il suo restauro, ma nello stesso tempo Alessandro Antonelli, immaginifico e fantasioso architetto, può distruggere la cattedrale romanica di Novara – e pensa di fare altrettanto con quella di Casale – per poter realizzare le sue opere che sono, ancora, un recupero filtrato del Classicismo. Nel 1884, per ospitare parte dell’Esposizione Generale Italiana dedicata a quanto il progresso sta producendo, D’Andrade, Nigra e Braida ricostruiscono a Torino, sulle rive del Po, un intero borgo medioevale, perfetto in ogni particolare e che si rivelerà prezioso anche in termini storico-artistici. Una ventennio prima, ancora l’Antonelli aveva avviato la costruzione della Mole Antonelliana, i cui lavori si concluderanno nel 1889. Nello stesso anno in cui a Parigi viene costruita la Tour Eiffel con l’impiego di materiali nuovi come il ferro, la Mole Antonelliana è l’ultimo, strabiliante trionfo dei materiali edilizi tradizionali: i mattoni, la calce, la pietra. Appena un decennio più tardi, siamo nel 1899, in una Torino in forte espansione urbanistica e che può già contare su una consolidata base fatta di piccole e medie industrie attivissime in ogni campo, viene fondata la Fiat. Nelle nuove aree di espansione urbana, rese disponibili dall’abbattimento delle vecchie cinte murarie, si aprono grandi arterie alberate, si costruiscono edifici di abitazione, nuove chiese, giardini e servizi pubblici. È l’alba di un nuovo mondo: quello in cui viviamo.

Indice
INTRODUZIONE

DAI TRIONFI BAROCCHI AL NEOCLASSICISMO
L’urbanistica
L’architettura
La scultura
La pittura

Il medioevo idealizzato: l’età di Carlo Alberto
e il romanticismo storico
L’architettura
Artisti per il sogno medioevale di un re
La scultura
La pittura
Le collezioni e le raccolte d’arte e di storia sabaude
La nascita e la diffusione dei teatri lirici in Piemonte

Dall’eclettismo all’art nouveau
L’architettura
L’innovativo genio di Alessandro Antonelli
Il Medioevo «scientifico» e il Medioevo inventato
Architetture medioevali reinventate
La scultura
La pittura

Bibliografia

Indice dei nomi

Indice dei luoghi

Crediti fotografici
 
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