Arte in Piemonte vol. IV Il Barocco
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Recensioni
- LA STAMPA
DUE SECOLI DI LAVORO NEL CANTIERE BAROCCOIrene Cabiati
I viaggiatori che transitano a Torino assistono meravigliati al viavai intorno ai numerosi cantieri aperti: la città si sta trasformando, si espande, si rinnova si arricchisce di impulsi estetici. Si aprono nuove vie per dare accesso ai neonati quartieri, si riassestano le vecchie strade. C’è fermento ovunque. La mappa urbana sta cambiando e nell’aria c’è un’atmosfera positiva.Non è la Torino che si prepara alle olimpiadi invernali. Siamo nel Seicento e Torino è la città che Emanuele Filiberto ha eletto come capitale del ducato dopo la cacciata dei francesi. «Testa di ferro» l’ha già dotata di un’appropriata cinta difensiva e l’opera di rinnovamento sta continuando con i suoi successori ben consigliati dalle Madame Reali, a cominciare da Carlo Emanuele I: daranno vita ad un cantiere grandioso per lo sviluppo dell’impianto viario, la costruzione di palazzi, residenze, piazze e chiese.Di questa grandiosa avventura si fa testimone Franco Caresio autore del quarto volume della collana Arte in Piemonte di Priuli & Verlucca, editori dedicata al Barocco. Il volume, a cura di Fabio Bourbon, è corredato dalle fotografie dell’archivio dell’editore fra cui gli scatti di Enrico Formica, Ernani Orcorte e dell’autore stesso.
Il rinnovamento, che si protrae fino alla metà del Settecento e che porterà la città a competere con altre capitali europee, offre spazio agli impulsi architettonici e artistici del Barocco e si diffonderà nei principali comuni regionali assumendo via via caratteristiche particolari.
«Il rinnovamento della città – sottolinea Caresio – non è dovuto ad esigenze demografiche, ma ad un progetto che vuole trasformare un centro di provincia medio piccolo in capitale, seguendo un disegno politico e ideologico voluto e meticolosamente programmato dalla corte. Non c’è nulla di casuale in questo processo che dura da due secoli: tutto è progettato nei dettagli da architetti al servizio della corte sabauda in una visione d’insieme che privilegia la razionalità e l’uniformità degli edifici, l’ampiezza e la regolarità delle strade».
Il colossale laboratorio si espande nella regione in altri centri di culto come i sacri monti e nel marchesato di Casale. Al lavoro ci sono i nomi eccellenti della storia dell’architettura e dell’arte, coadiuvati da un esercito di artigiani e operai.
Quei nomi ricorrono oggi sempre più frequentemente quando i turisti del terzo millennio, facendo lo slalom fra i nuovi cantieri, ammirano le raffinate bellezze barocche che segnano il carattere di questa città.
Estratti
Dall’introduzione
È uno dei più superbi e sontuosi edifici dell’età barocca – la «real chiesa» di Superga – a indicare, anche da lontano, il carattere peculiare che Torino, soprattutto, ma anche l’intero Piemonte, hanno assunto nella loro strutturazione urbanistica, architettonica e decorativa tra la fine del Cinquecento e gli ultimi decenni del Settecento.
È una connotazione artistica e culturale che proprio nelle terre sabaude, più che in altre regioni, ha registrato uniformità di estensione territoriale e un numero straordinario di presenze monumentali di grande valore, tanto da porsi, ancora oggi, quale elemento distintivo della sua immagine complessiva. La basilica di Superga assurge dunque a simbolo e sintesi di una prodigiosa stagione artistica, durata poco meno di due secoli, che poté sviluppare le sue potenzialità grazie al concorso di particolari situazioni istituzionali, politiche, religiose ed economiche. Quando infatti, nel 1715, su una delle alture più elevate del sistema collinare torinese, viene avviata la costruzione dello splendido edificio, può ormai essere considerata conclusa la prima fase del difficile percorso che i Savoia avevano ipotizzato trasferendo la capitale degli Stati sabaudi da Chambéry a Torino. La dinastia ha ottenuto da poco il titolo regale, la nuova capitale al di qua delle Alpi ha assunto un’immagine di grandezza e di potenza quale non aveva mai avuto in passato e Filippo Juvarra l’arricchirà in pochi anni di monumenti che la porteranno al rango delle altre capitali europee. A cominciare, appunto dalla basilica di Superga, ben visibile da gran parte della pianura torinese, edificata ad assolvimento di un voto, anch’essa in qualche modo «residenza Sabauda» perché destinata ad accogliere quale estrema dimora i regnanti sabaudi.
Tuttavia, prima dell’arrivo a Torino di Juvarra – e per alcuni decenni ancora dopo il suo trasferimento a Madrid – Torino e il Piemonte sono stati un grande cantiere aperto, nel quale l’arte barocca ha trovato un’espressione del tutto particolare, in termini qualitativi e quantitativi. È certamente una coincidenza che, proprio a cavallo tra Cinque e Seicento, quando l’arte barocca si diffondeva da Roma in tutta l’Europa, il Piemonte si sia trovato nella situazione di affrontare un profondo rinnovamento e che, dunque, abbia accolto in pieno la nuova corrente artistica. Determinante fu indubbiamente la scelta della dinastia sabauda di trasferire la capitale a Torino, in quegli anni praticamente ancora rinserrata entro il perimetro delle mura romane.
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LA RIPROGETTAZIONE URBANISTICA DI TORINO NEL PERIODO DELLA CONTRORIFORMA
L’URBANISTICA
Sul finire del Seicento, l’immagine di Torino che si presenta ai viaggiatori – e di cui essi danno conto nelle loro memorie – è quella di una città in rapida trasformazione ed espansione. In piena età barocca, decine di cantieri sono aperti nel tessuto della città antica, ancora romano-medioevale, soprattutto nell’area compresa tra la cattedrale e il castello che i marchesi del Monferrato, e poi gli Acaja, hanno eretto oltre quattro secoli prima sull’antica Porta Pretoria. Moltissimi altri cantieri sono in attività, contemporaneamente, al di fuori della cerchia muraria romana, per la costruzione di «contrade», o quartieri, del tutto nuovi. Per la prima volta nella storia di Torino, è in corso un colossale programma urbanistico, che è espressione di una precisa e caparbiamente affermata volontà politica; tale programma, che aveva preso avvio circa un secolo prima, era destinato a ridefinire completamente l’immagine e il ruolo della città. Diversi fattori – politici, ideologici, religiosi, dinastici e di particolari condizioni internazionali – concorrono a creare le condizioni di una stagione che, tra l’ultimo ventennio del Cinquecento e sino alla fine del Settecento, è destinata a imprimere caratteri artistici del tutto particolari – per numero, varietà e ricchezza di espressione di singoli monumenti, ma soprattutto di complessiva immagine barocca – alla nuova capitale sabauda. Per definire i termini e le ragioni di questa straordinaria stagione, sono necessarie alcune premesse.
In sintesi, il 7 febbraio 1563 il duca Emanuele Filiberto, detto «Testa di ferro», al quale la pace di Cateau-Cambrésis (1559) ha decretato, dopo la sua vittoria nella battaglia di San Quintino, la restituzione degli Stati sabaudi, entra in Torino sgomberata dai Francesi dopo un dominio durato un quarto di secolo e di fatto vi trasferisce la capitale e la sede della corte, che fino ad allora avevano avuto sede in Chambéry. È una scelta importante, che condizionerà il futuro di Torino e del Piemonte, ma piena anche di incognite. La capitale, come struttura urbanistica e sede di governo, deve essere in realtà completamente inventata. In quella seconda metà del Cinquecento, la città è ancora sostanzialmente rinchiusa all’interno delle antiche mura romane, con poche e sparse presenze esterne; non ha adeguati sistemi di difesa esterni; non dispone di edifici importanti – a eccezione della cattedrale (ricostruita un secolo prima in forme rinascimentali) e del castello degli Acaja (che però è una tetra e inospitale struttura militare medioevale) – né degni di ospitare una corte ducale e una dinastia che, invece, già appare molto attiva nella costruzione del proprio futuro e di un’immagine di grandezza e magnificenza. Il primo impegno architettonico-urbanistico di Emanuele Filiberto è necessariamente di carattere difensivo, con l’edificazione – iniziata già l’anno successivo al suo ingresso a Torino – della Cittadella, poderosa e grandiosa fortezza pentagonale. Sarà il successore di «Testa di ferro», Carlo Emanuele I – e così faranno tutti i duchi, e poi i re, sino alla fine del Settecento – a «inventare» la nuova capitale sabauda.
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INTRODUZIONE
LA RIPROGETTAZIONE DI TORINO NEL PERIODO
DELLA CONTRORIFORMA
L’urbanistica
Amedeo di Castellamonte e Francesco Lanfranchi
Madama Cristina e il Castello del Valentino
I Sacri Monti
I pittori
IL BAROCCO TRIONFANTE
L’astro di Guarino Guarini
Michelangelo Garove e gli altri architetti «minori»
I pittori e gli scultori
La Cappella dei Mercanti a Torino
Il Theatrum Sabaudiae
FILIPPO JUVARRA E IL SETTECENTO
La capitale di un marchesato in età barocca: Casale Monferrato
La presenza ebraica e la sinagoga di Casale Monferrato
Il genio di Filippo Juvarra
L’architettura di rappresentanza e l’eredità dello Juvarra
I pittori
L’ebanisteria e la scultura, dal trionfo barocco al Neoclassicismo
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice dei luoghi
Crediti fotografici