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Mario Piacenza

Presso la Fondazione Famiglia Piacenza le carte, gli oggetti, le fotografie e i filmati non hanno solo un valore affettivo, ma hanno anche una valenza storica, non solo per la famiglia stessa, ma per l’intera comunità. La famiglia Piacenza, da nove generazioni dedita all’arte della lana, appartiene a quella borghesia imprenditoriale che con molto coraggio, soprattutto nel primo sessantennio dell’Ottocento, seppe precorrere i tempi nell’ammodernamento delle macchine e nel perfezionamento produttivo.
Secondo una relazione del 1757, conservata nell’archivio di Pollone, Pietro Francesco Piacenza era classificato tra gli industriali piemontesi con un’azienda che dava lavoro a cento operai. Dopo l’occupazione francese e la forte concorrenza dei tessuti francesi Giovanni Piacenza, che nel 1830 prese le redini dell’azienda, avvertì subito che lo spirito del momento stava cambiando, che occorreva essere attenti e vigili e sapere precorrere i tempi, come scrive dall’estero. Le lettere all’azienda e alla famiglia da Londra, Manchester e Parigi, dove andava a comprare la lana e a «…capire il gusto della moda…», colpiscono per l’acutezza delle osservazioni, per l’intraprendenza, per la volontà a competere con i mercati lanieri più famosi; non per niente lo stesso Cavour, che fu ospite a Pollone, definì Giovanni un imprenditore aperto e illuminato. Appassionato di giardini, forse ispirato da quelli inglesi, iniziò i piantamenti sul colle della Burcina, la cui opera fu poi proseguita e arricchita da un’ampia raccolta di rododendri, all’epoca sconosciuti in Italia, dal figlio Felice, che ebbe contatti con i principali botanici del momento. Felice Piacenza fu tra le figure più singolari e all’avanguardia del mondo industriale biellese: dotò l’azienda di uno dei primi impianti idroelettrici progettati da Galileo Ferraris, fondò nel 1911 il Lanificio Scuola convinto della necessità di istruire, e non solo in modo teorico, operai specializzati per fare fronte alla forte concorrenza straniera. Fu interessato all’arte, alla botanica, alle innovazioni scientifiche e seppe comunicare gli stessi entusiasmi ai suoi tre figli Guido, Mario ed Enzo, che crebbero proprio in un ambiente aperto, intraprendente, dove la curiosità, il piacere della scoperta, l’entusiasmo erano all’ordine del giorno. Guido, sin da giovane interessato all’aerostatica e alla nascente aeronautica, prese parte alle principali gare del tempo, come la Gordon Bennet che si disputava a Zurigo e nel 1910 conquistò il record italiano d’altezza con il suo pallone Albatros. Come si legge dalle carte d’archivio, arrivò a progettare di trasvolare la catena del Karakorum dalla Cina all’India, ma il progetto non si realizzò per motivi burocratici. Un brutto incidente lo allontanò dal pallone, ma non si arrese: la forte passione per la natura, il desiderio di scoperta lo spinsero nel 1912 a risalire il fiume Congo e a proseguire fino a Mombasa a piedi e in bicicletta. I diari, gli oggetti, le numerose fotografie e il filmato, che non avevano solo la funzione di ricordo, ma anche di documento soprattutto dal punto di vista naturalistico ed etnografico, sono conservati presso la Fondazione Piacenza. La stessa passione e la stessa forza di carattere animarono anche di più Mario, fratello minore di Guido. Nato a Pollone nel 1884, si laureò in legge a Torino e, dopo aver frequentato le principali scuole tecniche del Belgio e della Germania, entrò nella fabbrica paterna. Sin da giovane amante della montagna svolse un’attività alpinistica importante sia sulle Alpi che sulle catene montuose extraeuropee. Conquistò in prima ascensione il Cervino per la cresta Fürggen. Nel 1910 organizzò e diresse la spedizione nel Caucaso dove conquistò il Dich Tau per una nuova via. Nello stesso viaggio salì il Monte Ararat in Armenia, il monte Damavand in Persia e nel Turchestan Cinese il Kindshakai Kok. Nel 1913 diresse un’altra spedizione nel Kashmir, in Ladakh scalando le vette del Kun e del Picco Z3 e, abbandonati i compagni di spedizione, proseguì con le guide fino al Sikkim per una ricognizione nel Kangchenjunga. Le sue spedizioni, documentate da stampe e da negativi di qualità e dai due film «L’ascensione al Cervino» e «Himalaya, Samarcanda e i pozzi petroliferi di Baku», importanti per l’esordio della cinematografia, suscitarono curiosità tanto che fu chiamato a tenere parecchie conferenze; nel 1930 a Milano venne pubblicato il libro L’Himalaya cashmiriano. Spedizione Piacenza. Relazione del dott. Calciati. Illustrazioni di Mario Piacenza. Grazie alla sua esperienza divenne Direttore del Museo nazionale della Montagna di Torino, incarico che ricoprì fino alla morte che avvenne a Biella nel 1957.

Libri di Mario Piacenza pubblicati da Priuli & Verlucca

 
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